Gli allagamenti del 2006-2007 e i comitati allagati di Mestre.
Giovanna Lazzarin
Nel 1996, con la costruzione dell’impianto idrovoro di Tessera, lo scolmatore di Mestre viene definitivamente completato attraverso lo scarico meccanico in laguna delle sue acque.
La terraferma veneziana può dormire sonni tranquilli?
I problemi di allagamento riguarderanno d’ora in poi solo piccole aree marginali, come via Passo Cereda a Favaro Veneto i cui abitanti dal 1989 continuano a chiedere interventi e ad andar sott’acqua?
Tra il 15 e il 17 settembre 2006 sull’entroterra veneziano si abbatte una forte perturbazione che rovescia 225 millimetri d’acqua (dati ARPAV) in tredici comuni del veneziano, causando danni significativi nel comprensorio del miranese, nella riviera del Brenta e nella città di Mestre, dove vengono allagate vie e piazze.
Da dove viene tutta quell’acqua? Perché non se ne va via? Non era stato tutto bonificato? La terraferma veneziana non era da tempo un territorio asciutto?
Queste domande passano di bocca in bocca la mattina del 17 settembre 2006 e su queste preoccupazioni sorgono immediatamente i Comitati allagati.
Luciano Callegaro, coordinatore del “Comitato 17 settembre – Mestre allagata” ricorda che il 17 settembre 2006, dopo aver visto l’acqua coprire i volumi d’arte più belli e importanti che aveva nel suo studio, parlando con alcuni amici, aveva proposto: Perché non formiamo un comitato? e aveva lasciato un foglio dal fornaio. In pochi giorni si era iscritto un centinaio di persone, da Carpenedo, da corso del Popolo, da viale San Marco, da quasi tutto il centro di Mestre. Allora si è fatto prestare una saletta e ha organizzato un’assemblea. Nel frattempo Il Gazzettino ha ospitato un suo annuncio sulla cronaca locale e subito si è fatto vivo il Comitato di Marghera, con Mauro Olivi e Luciano Ballarin, si sono organizzati e hanno cercato di fare pressione nei confronti dell’amministrazione comunale.
Altri comitati stavano intanto sorgendo a Marghera, Favaro, Gazzera,[1], raccogliendo gli iscritti per famiglie e per vie[2] e segnando per ogni via uno, a volte due responsabili.
Quest’organizzazione però non è sufficientemente incisiva e presto i comitati cominciano a riunirsi per ampie zone della città (S.Rita, Catene Valleselle, Gazzera) o per interi quartieri (Marghera, Favaro, Mestre centro). La loro struttura procede per cerchi concentrici dal gruppo ristretto di chi partecipa assiduamente alle iniziative (da una a 10 persone) a una cerchia più ampia, come accade quando ci sono allagamenti, assemblee o raccolte firme.
Alcuni comitati, come il Comitato 17 settembre – Mestre allagata, assieme ad altri vanno a formare un’associazione con presidente e direttivo, per avere una veste giuridica e prepararsi a un’azione dai tempi lunghi .
Altri, come i comitati di Favaro e Catene Valleselle, decidono di restare tali perché “Siamo sorti per affrontare un problema preciso, quello idrico, e ci scioglieremo quando questo problema sarà risolto”.
A una prima impressione si può pensare che i comitati si raggruppino per chiedere risarcimenti per i danni subiti. Questo è sicuramente un obiettivo, ma fin dall’inizio c’è dell’altro.
Vi è la volontà di chiedere conto agli amministratori delle loro scelte.
Nei documenti consultati l’elenco degli enti ritenuti responsabili è lungo: il Comune e in particolare l’assessorato ai lavori pubblici, le Municipalità, i Consorzi Dese Sile e Medio Brenta, Veritas, l’ENEL, la Protezione Civile, i Vigili del fuoco.
Viene chiesto un incontro all’amministrazione comunale.
Il 27 ottobre 2006, più di un mese dopo la grande pioggia, l’assessore Sandro Simionato, presente il capo-gabinetto del Sindaco Maurizio Calligaro, convoca i tre principali comitati (Mestre, Marghera e Favaro) e presenta una situazione idrogeologica preoccupante:
- il sistema fognario iniziato nel 1994 non è ancora stato completato e risulta già inadeguato;
- Gli enti interessati alla gestione delle acque di superficie non sono coordinati tra loro;
- i finanziamenti sono insufficienti;
- la manutenzione carente;
- la posizione geografica sfavorevole in quanto la terraferma veneziana è bacino di raccolta delle acque provenienti a monte della laguna.
Ciò non lascia presagire niente di buono per il futuro.
Ecco il resoconto del Gazzettino del 31 ottobre 2006.
Il 15 novembre i comitati di Marghera, Mestre, Favaro Veneto, Sabbioni e Catene – Villabona si riuniscono e stilano un documento congiunto che dà l’idea della loro esasperazione:
I cittadini sono stanchi di subire continui disagi a causa di una serie di disservizi degli enti preposti (Veritas e Consorzi vari).[…]
Chiediamo:
– che il servizio venga portato alla normalità quanto prima, per evitare che molte zone del Comune di Venezia diventino vasche di contenimento anche in caso di eventi atmosferici di normale entità;
– che vengano riconosciuti e rimborsati i danni subiti, non solo agli immobili, ma anche ai beni mobili;
– che vengano identificati e rimossi dai loro incarichi i responsabili di tali disservizi che, pur sapendo, hanno taciuto alla comunità della situazione precaria e carente delle strutture che dovrebbero garantire un servizio regolare, pagato da tutti i cittadini;
– che vengano identificati e rimossi dai loro incarichi i responsabili che hanno proposto, permesso e concesso che in questi ultimi anni migliaia di ettari di campagna venissero impermeabilizzati con la costruzione di edifici residenziali, commerciali e industriali, piazze, parcheggi e strade con le evidenti conseguenze”.[3]
Questo documento sarà solo il primo di una lunga serie di incontri tra i diversi comitati della terraferma e di documenti che verranno concordati e presentati alle istituzioni responsabili dei problemi idrogeologici del territorio.
Però l’attività dei comitati non si rivolge solo a pungolare i responsabili dei disservizi, ma anche a osservare la zona ove ciascuno abita per capire dove hanno origine i problemi. Disillusi dagli amministratori e dai politici, i cittadini decidono che devono agire in prima persona.
Racconta Fabrizio Zabeo[4], portavoce del comitato di Favaro, che all’inizio neanche conosceva il posto dove abitava dal 1987: andava al lavoro, tornava a casa, nel tempo libero faceva delle gite fuori porta. Ha imparato a conoscerlo e ad apprezzarlo da quando, insieme agli altri membri del suo comitato, ha cominciato a fotografare sistematicamente il percorso della fossa Pagana e degli altri canali che portano l’acqua all’idrovora di Campalto e di Tessera, per capire dove l’acqua veniva bloccata.
Zabeo e il Comitato di Favaro hanno prodotto questa documentazione fotografica.
Marcello Meneghin, la cui casa si trova in zona Gazzera-Santa Barbara, a pochi metri dal rio Cimetto tombinato, si chiedeva come mai quando pioveva l’acqua non andasse a finire in quel rio. Così si è messo a studiare il percorso della fognatura e ha scoperto che l’acqua che scende dal suo tetto fa un giro lunghissimo: viene prima portata a nord attraverso via Perlan, via Asseggiano, via Brendole, dove incontra le acque provenienti dalla condotta di via Calucci[5]. Insieme passano sotto il Marzenego, vengono sollevate dall’impianto di sollevamento di Zelarino, dove arrivano anche le acque di Zelarino, per ritornare verso sud lungo la tangenziale, sottopassare la ferrovia e finalmente dirigersi verso l’impianto di depurazione di Fusina.
Quando piove poco, l’acqua della sua zona viene pompata dall’impianto fognario di Zelarino nel Marzenego e non ci sono problemi. Quando piove molto l’acqua non riesce ad arrivare alle pompe, perché Zelarino è più alto della Gazzera e le sue acque prevalgono, così ritorna indietro ad allagare le case mentre il rio Cimetto è vuoto.[6]
Per questo ogni volta che piove forte a Meneghin vien voglia di prendere un trapano e fare un buco fino a intercettare il piccolo fiume e chiedergli di accogliere le acque che stazionano in superficie.
[segue]