Sorvegliare e gestire
Il geometra Mirco Capo ha lavorato dal 1968 al 2004 al Consorzio Dese-Sile, era responsabile della manutenzione del servizio tutela del territorio.
Uno dei meriti universalmente riconosciuti al Geometra Capo è quello di aver “allevato” una squadra di tecnici, capaci e appassionati, che tuttora assolvono il loro compito alle dipendenze del Consorzio Acque Risorgive, e che hanno verso di lui ammirazione, stima e riconoscenza.
Il geometra Capo non è più in servizio, ma rimane uno dei punti di riferimento anche per tutti i sostenitori di un Contratto di fiume saldamente ancorato alla realtà storica e fattuale.
Claudio Zanlorenzi lo ha intervistato durante il seminario di storiAmestre “Acque alte a Mestre e dintorni” che si è tenuto martedì 16 novembre 2010.
M. Luciana Granzotto e M. Giovanna Lazzarin hanno incontrato di nuovo il geometra Capo il 5 gennaio 2011. Il testo che segue riporta, rielaborandoli, alcuni brani delle due interviste[1].
Nella prima parte di questa intervista si parla di sfalcio, di pranzi con la pignatina, di falci imbullonate, di scarsa forza fisica, di guardiani in bicicletta (con una lista delle trasgressioni e la borsa delle chiavi), di sponde abbandonate, di trattori che si fanno strada a gomitate, di continuità degli argini, di espropri e di consiglieri sul tetto.
Nella seconda parte invece si parla della sorveglianza dei corsi d’acqua, di come vengono gestite le idrovore, della necessità di adeguare il personale alla vastità del territorio, della funzione dei fossati, delle responsabilità del Comune, dei guai dell’urbanizzazione fuori controllo, di come i fiumi siano cambiati.
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Giovanna: Quando ha cominciato a lavorare al consorzio, come avveniva la manutenzione degli argini?
geom. Capo: Negli anni Sessanta (del Novecento) ogni anno si assumevano degli operai avventizi per lo sfalcio delle erbe sul fondo dei corsi, agricoltori che d’estate ci tenevano a prendere un soldo, si radunavano in 15-16, mangiavano lungo il corso d’acqua con la pignatina, tiravano sul Marzenego le corde per tagliare il fondo, imbullonavano le falci una con l’altra, il ferro lo chiamavano, in testa avevano due pezzi di ferro e lì legavano due corde, buttavano le falci in acqua controcorrente e muovendo le corde tagliavano il fondo. Un lavoro disumano. Questo è andato avanti fino agli anni Settanta. Qual era il problema? Il personale non era più quello di una volta, cominciava a costare un po’ troppo e non aveva la forza fisica per poterlo fare, quando tagliavano certi corsi d’acqua erano anche in sette, otto per corda. C’era l’aneddoto che il più giovane che veniva assunto aveva la carriola e la fiasca del vino, portava da bere alle persone fino a sera.
I guardiani facevano da capi operai, avevano la responsabilità della squadra. Il geometra Scalon programmava il lavoro della settimana, loro ogni venerdì mattina venivano in Consorzio, portavano i rapporti e si faceva una riunione».
Claudio: Ma i guardiani dell’acqua che lavoro facevano?
geom. Capo: I guardiani dell’acqua erano guardie giurate, perché avevano la possibilità di fare i verbali. Avevano la bicicletta e per contratto dovevano girare una volta al mese tutti i corsi d’acqua, vigilare che i frontisti non danneggiassero gli argini o le sponde dei canali, che non piantassero recinzioni, non facessero fabbricati troppo vicini al corso d’acqua, non piantassero alberi sulle rive, non scavassero la terra, non immettessero i fossati dentro i canali senza autorizzazione, che i frontisti tagliassero l’erba delle sponde, il consorzio tagliava solo l’erba del fondo. A Zelarino abitava Giuseppe, il papà dell’ingegner Mariano Carraro; l’ho conosciuto perché, quando sono entrato nel ’68, era andato in pensione l’anno prima. Dopo Carraro è venuto Omero Saccarola che abita a Maerne, vicino al cimitero. Un altro guardiano era di Trebaseleghe, Angelo Favaro, che aveva la parte tra il Marzenego e il Dese, uno a Mogliano per il Dese, un altro abitava a Zero Branco e faceva il bacino Serra Vigonzo, un piccolo Consorzio autonomo che non aveva disponibilità ed è stato unito al Dese superiore.
Il guardiano anche una prerogativa importante per il consorzio: faceva i verbali di contravvenzione. Io ne ho visti pochissimi, perché per fare un verbale bisognava avere motivi seri . Però c’era sempre questa spada di Damocle e la gente aveva paura. Mi ricordo che questi guardiani erano persone rigide, severe, i contadini che abitavano lungo il corso d’acqua li rispettavano e loro si facevano rispettare.
Luciana: Perché adesso i frontisti non fanno più questi lavori?
geom. Capo: Una volta tutti avevano conigli, galline, la mucca, il maiale, avevano interesse allo sfalcio e anche ad avere l’acqua, perché si poteva, su autorizzazione, prelevare l’acqua. Quando questo non è stato più necessario si è arrivati all’abbandono della sponda. Una volta il Consorzio tagliava solamente il fondo, dove c’era proprietà demaniale. Poi dagli anni Sessanta in poi ha dovuto prima tagliare il fondo e la sponda, poi la sponda per 3 m oltre. E coi gomiti a farsi strada. Perché mi ricordo che negli anni Settanta, quando abbiamo comperato il primo trattore con il braccio che tagliava l’erba solo del fondo, per tagliare un corso d’acqua si impiegava un’infinità di tempo: bisognava andar dentro, fare il giro, uscire, andare nell’altra proprietà, non c’era continuità dei corsi d’acqua.
Il problema è stato aprirsi la strada. Ci sono state di quelle guerre! Nella zona di via Visinoni (a Zelarino) c’era il cancelletto, non ci lasciavano passare, finché con gli scavatori abbiamo cominciato a demolire certe cose impossibili. Non posso mandare un operaio a tagliare a mano una sponda di 10 m. quando hanno inventato le macchine.
Negli anni Ottanta-Novanta abbiamo messo su chilometri di tubi, per chiudere i fossati che andavano dentro a bocca libera nel corso d’acqua e per poter passare. Ci sono stati centinaia di conflitti perché non volevano che il loro fondo fosse collegato a quello in fianco per chissà quali alchimie. Ci son voluti vent’anni, ma solo così si riesce a fare la manutenzione, sennò costerebbe un patrimonio.
Luciana: C’è stato un notevole finanziamento!
geom. Capo: Tutto è iniziato quando è iniziata la tassazione dei fabbricati; prima il contributo era sul terreno, poi il terreno è stato scorporato e pagava quello che c’era sopra. E’ stata una guerra, ci hanno buttato per aria l’ufficio. C’era un signore, che adesso è morto, che è andato a finire sopra il tetto del municipio di Mestre, un consigliere comunale della sinistra, avevano formato un comitato. Con i lavori sono stati espropriati gli argini per non avere intralci. La superficie che forma l’argine era proprietà privata fino al pelo medio dell’acqua, quando hanno fatto i grandi lavori (dello Scolmatore) è stato fatto l’esproprio completo dell’argine nel caso dei canali arginati e del ciglio superiore. Negli allaccianti (dello Scolmatore), nel Roviego, nella Dosa, abbiamo 3 metri parte per parte di proprietà demaniale.
Giovanna : I guardiani dell’acqua sono scomparsi?
geom. Capo: Non sono scomparsi, ma hanno perso la loro funzione. anche perché hanno avuto altri compiti. Però il guardiano ha sempre nel suo contratto che può fare verbali di contravvenzione. La legge sulla bonifica è del 1904 ed è ancora valida, ve lo posso garantire. L’unica cosa che non è più valida è la distanza delle piantagioni e delle cose dalle rive superiori, perché una volta andavano tutti a piedi per fare la manutenzione, adesso bisogna andare con i mezzi meccanici e la distanza è aumentata.
Giovanna: Ma come avviene il controllo adesso che l’uomo non cammina più?
geom. Capo: Il corso d’acqua lo si vede ogni volta che si va a tagliarlo e lo si taglia mediamente due volte all’anno. Quindi due volte all’anno, da una parte o dall’altra; il guardiano ha una borsa di chiavi, un sanpiero, perché deve aprire un cancello, deve aprire una sbarra e quindi vede il territorio. Qualche volta qualcosa sfugge, però il territorio lo guarda ancora.
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Claudio: Quando si va sotto c’è sempre chi dice che non hanno attaccato le pompe o non hanno alzato le chiuse: concretamente come funziona il controllo?
geom. Capo: «Nei primi anni c’erano i guardiani che facevano il controllo del territorio quando c’era una piena, andavano in giro in bicicletta o in motorino con uno o due operai, per motivi di sicurezza. Non c’era il telefonino e quindi si trovavano in luoghi prefissati per fare il punto della situazione: da Bellinato a Zelarino oppure al Turbine in via Marignana, alla baracca di Trebaseleghe, a Robegano. Io andavo in giro per il comprensorio con la mia macchina, il Consorzio non possedeva neanche macchine a quel tempo. Eravamo in due, io e il geometra Scalon e eravamo responsabili di quattrocento chilometri di canali. Un po’ alla volta è arrivata la radio portatile, poi il telefono.
Nel frattempo cosa ha fatto il Consorzio? Ha fatto un sistema di telecontrollo di tutto il territorio. Ha cominciato a dire: vediamo dove nascono i nostri corsi d’acqua, le derivazioni, le immissioni che ci sono a monte, specie sul Marzenego, meno sullo Zero e sul Dese e ha cominciato a installare dei rilevatori pluviometrici e di portata lungo i corsi d’acqua fino ad arrivare un po’ alla volta in laguna.
Gli impianti idrovori sono più complicati da gestire, una volta c’era una persona fisica per ogni impianto che era in servizio ventiquattr’ore al giorno per trecentosessantacinque giorni all’anno, persi in mezzo ai palù alla fine del mondo. Quando pioveva attaccavano le pompe, se mancava la corrente fermavano le pompe perché non c’erano i gruppi elettrogeni. Il Consorzio del Dese-Sile ha otto impianti idrovori, sette più quello di Tessera che raccoglie le acque dello Scolmatore ed è stato ultimato con le ultime pompe un paio di anni fa. Un po’ alla volta dagli anni ’80 ha cominciato ad automatizzare questi impianti idrovori, a mettervi dei gruppi elettrogeni e dei rilevatori automatici. Prima, quando pioveva, si mandavano 5-6 persone davanti alle griglie con delle lunghe forche per raccogliere l’erba, una “montagna di erba”, perché quando c’è la piena l’acqua corre così velocemente che le erbe che sono relegate sul fondo si staccano e arrivavano tutte alle griglie. Con il telecontrollo si è provveduto a rilevare le portate dei corsi d’acqua a monte e a valle, si sono automatizzate le paratoie del Marzenego a Mestre, dove c’è la tangenziale, di Egger a Noale, dello scolmatore, del Dese a Marocco e quella che in centro a Mestre permette di mantenere una quota costante dell’acqua, come a Noale, per un problema igienico sanitario, perché alcuni impianti fognari scaricano ancora nel Marzenego.
Adesso non c’è più una persona fissa, c’è un sistema di controllo che funziona a cadenza, cioè il TSM o il telefono che dà la comunicazione delle problematiche, il geo-radar, installato quasi sempre negli impianti idrovori, i galleggianti, che sono sempre i più sicuri, e alla fine c’è l’uomo.
Claudio: Ma c’è del vero quando dicono: “si è allagato perché non hanno attaccato le pompe”?
geom. Capo: Da una decina d’anni tutti gli impianti funzionano in automatico, anche per la tranquillità del Consorzio. Però la presenza dell’uomo deve esserci sempre. E’ stato valorizzato il personale, sono stati organizzati corsi di informatica, per poter utilizzare le apparecchiature. Nei periodi di piena vengono collocate una o due persone a controllo di ogni impianto idrovoro.
Dov’è il problema? La miriade di paratoie ad uso irriguo che negli ultimi dieci anni sono state inserite nei corsi d’acqua, comprese quelle per la laminazione. Quindi ci vuole un certo tempo tecnico per poterci arrivare. Noi abbiamo quattro persone che dotate di furgoncino provvedono a sollevare tutte le paratoie che non sono collegate all’energia elettrica. Avevo delle paratoie che erano distanti da tutto il mondo.
Giovanna: Ma allora perché Mestre va sott’acqua?
geom. Capo: Il motivo per cui Mestre va sott’acqua non è da attribuirsi al Consorzio Dese-Sile, ma al Comune stesso di Venezia, che ha permesso la chiusura e il tombinamento dei fossati, togliendo così invaso all’acqua. Mestre è una delle poche città che ha una fognatura di tipo misto e quindi quando piove le condutture non riescono a smaltire l’acqua, si sollevano i chiusini, la fognatura fuoriesce allagando case e scantinati.
Il Comune di Venezia ha provveduto a potenziare gli impianti fognari di sollevamento installando pompe sempre più potenti, mettendo però in crisi il sistema idraulico di valle che non riesce ad assorbire tutta l’acqua sollevata.
Ci saranno problemi anche nei corsi d’acqua del Consorzio, ma il problema principe è il tombinamento dei fossati che c’erano in campagna. Mi ricordo che in campagna una volta c’erano fossi larghi 4-5 metri, profondi un metro, un metro e mezzo, e quando pioveva l’acqua andava a finire là dentro. Adesso hanno chiuso tutto, fanno le scoline larghe un metro e profonde 40 e di lì deve passare tutto quanto. Succede poi che gli agricoltori seminino anche dentro le scoline, se fosse possibile, perché seminano anche sulle strade dove dobbiamo passare noi, creando problemi di deflusso. Una volta c’erano sette-otto fossi, che gli agricoltori curavano in inverno, adesso non c’è più niente.
Giovanna: Ma il Consorzio non può dire nulla sul tombinamento dei fossi?
geom. Capo: «Il Consorzio non poteva dire nulla prima, anche i guardiani non potevano dire nulla sui corsi d’acqua privati, l’unico che poteva intervenire era il Comune. Il Consorzio sulla proprietà privata o comunale non aveva competenza, dava solamente dei pareri tecnici se uno doveva tombinare un fosso in prossimità dei corsi d’acqua, per capire quali caratteristiche doveva avere. C’erano dei bravi proprietari che chiedevano al Comune l’autorizzazione a tombinare il fossato; altri invece li tombinavano dalla mattina alla sera, con manufatti quasi sempre di dimensioni insufficienti.
La Regione, con la legge 12 dell’8 maggio 2009, ha dato responsabilità al Consorzio di emettere anche il parere tecnico sui piani regolatori comunali e sui manufatti da costruire nei fossi privati.
Nel 2003 il Consorzio ha iniziato a sensibilizzare i Comuni all’applicazione delle nuove norme regionali e a predisporre i piani delle acque: l’incarico veniva affidato al Consorzio che provvedeva con i pochi tecnici e guardiani a ispezionare i territori comunali metro per metro, strada per strada, fosso per fosso. I dati raccolti venivano trasferiti su cartografie, indicando le varie competenze dei fossati: privati, pubblici, stradali, comunali, consortili, provinciali, ferroviari. Ha dato un nome a tutti. Alla consegna al comune sono state date le disposizioni generali sul loro utilizzo.
Il Comune cosa dovrebbe fare? Quando un privato va a chiedere di costruire, che so, un pontesel, ora è in grado di attribuirne la competenza (al Comune o al Consorzio). Forse adesso le cose andranno meglio, ma il pregresso non si salverà più e non c’è neanche più storia. Nei Comuni c’erano dei tecnici che solo loro sapevano dove erano i tombinamenti, ma non c’era una cartografia che li indicasse e Mestre, Zelarino, Favaro, Gazzera, Chirignago sono sorte così. Mi ricordo, quando ero piccolo, a Favaro si faceva una strada, un lotto venti per venti, una casa, un lotto venti per venti, una casa, la strada in mezzo e avanti; e i fossi no c’erano più, perché una volta Favaro era tutta campi, adesso ci sono solo case e quindi quando salta il sistema salta tutto.
Claudio: Cosa le viene in mente, se le chiedo come sono cambiati i fiumi nei 36 anni in cui ha lavorato in Consorzio?
geom. Capo: « Le rettifiche dei corsi d’acqua. Dopo l’alluvione del ’66 il territorio era veramente disastrato, perché l’urbanizzazione, le strade, le lottizzazioni hanno portato i grossi centri – Mestre, Zelarino, Favaro, Mogliano, Martellago – a svilupparsi e questo ha portato nei corsi d’acqua flussi che non erano abituati ad avere, sono cominciate le piene, che dopo il ’66 hanno avuto un’evoluzione periodica e abbondante un po’ dappertutto.
Per ovviare a questi inconvenienti cosa hanno pensato i tecnici? Hanno pensato di velocizzare il deflusso delle acque, in modo tale che quando pioveva le acque venissero scaricate il più velocemente possibile in laguna. E allora già nel ’66 hanno cominciato a raddrizzare qualcosa, cambiando la morfologia e trasformando i corsi d’acqua in autostrade in modo tale che l’acqua dovesse andarsene via il più velocemente possibile».
Claudio: Da quanto so, da quanto leggo, questa politica di velocizzare l’acqua si è rivelata controproducente. E poi ci sono ambientalisti, pescatori che dicono che il fiume viene snaturato diventando un letto di cemento. Ma vedo che anche il Consorzio ha cambiato filosofia d’intervento.
geom. Capo: Infatti la rettifica porta a snaturalizzare il corso d’acqua. Dagli anni ’90-95 in poi è entrata nella mentalità dei progettisti di ritornare a mettere in prima persona il fiume, farlo tornare quello che era una volta. Una volta i soldi erano quelli che erano, adesso con la Regione, con altri finanziamenti si è riusciti ad avere un budget per poter effettuare degli interventi che vadano anche a beneficio del territorio. Le rettifiche sono state portate al minimo e si è cercato di creare delle zone di laminazione, delle piccole cave, fanno crescere le piante, gli arbusti, le cannucce in modo tale che l’acqua quando arriva ha la possibilità di espandersi.
Siccome da monte arriva sempre un sacco di acqua inquinata – adesso forse un po’ meno che negli anni Settanta-Novanta –, le aree golenali di laminazione consentono che l’acqua, stando ferma, lasci il deposito, così dovrebbe avere un tasso di inquinamento inferiore. La parola tecnica è “fitodepurazione”.
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[1] Una sintesi delle interviste al geometra Mirco Capo di Claudio Zanlorenzi, M.Luciana Granzotto e M.Giovanna Lazzarin, tenutesi al seminario presso il Centro di documentazione sulla città contemporanea del 16 novembre 2010 e il 5 gennaio 2011, si trovano in http://storiamestre.it/2011/04/controllareleacque/.
Claudio Zanlorenzi - Giovanna Lazzarin - Luciana Granzotto
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