Ancor oggi è difficile integrare la cura idrica del fiume con quella dell’ambiente, dello sfruttamento economico e della valorizzazione paesaggistica. Uno dei motivi è che il problema idrico, gli allagamenti di campagne e città, la siccità, la variabilità dell’energia a disposizione dei mulini o degli opifici, la “mal aria” delle paludi, è stato nel tempo quasi l’unica cura di governi e abitanti rispetto ai corsi d’acqua. Di questa centralità del pericolo idrico nella visione delle popolazioni dà conto questa storia di Giovanna Lazzarin, in cui le voci e le azioni dei cittadini giocano un ruolo di primo piano.
Giovanna Lazzarin
Gli allagamenti del Marzenego.
Ci scrivono da Mestre.
E’ da circa una quarantina d’anni che qui non succedeva un’inondazione simile. Mi sono recato alla Gazzera Bassa e Alta e nei pressi di Forte Brendole. Dappertutto purtroppo l’acqua ha ricoperto quelle strade; riversandosi nelle campagne, mettendo la desolazione. Nessuna di quelle case, tranne quelle di Gazzera Bassa, ha meno di 40 cm d’acqua, mentre queste sono letteralmente sepolte per buona metà dall’acqua. Si è provveduto per mandar sul luogo tre grosse barche, ma senza il più, cioè pane e viveri per quegli infelici che mancano di tutto… Hanno straripato il Marzenego, il Dese, l’Oselino verso Campalto, gettando la desolazione nelle terre di Favaro, Dese, Tessera e giù fino alle Maremme e l’acqua non accenna punto a decrescere[1].
L’Adriatico, 17 maggio 1905
l’acqua è arrivata fino al focolare, si son dovute mettere in salvo le bestie
L’allagamento del 1905 è rimasto nella memoria dei vecchi fino ai nostri giorni insieme all’acqua granda del 1966. Pietro Pavan che da quando è nato nel 1922 è sempre rimasto nella casa della campagna vicino allo scolo Bazzera a Favaro, coltivando quella terra che conosce vena per vena, ricorda il racconto che gli faceva il padre: l’acqua è arrivata fino al focolare, si son dovute mettere in salvo le bestie[2].
Ma quella non è stata l’unica volta in cui il Marzenego è straripato in modo rovinoso. Lunga è la storia delle sue esondazioni, numerosi i progetti pensati per dare sfogo alle sue acque nei momenti di piena, quando, a causa della scarsa pendenza del suo percorso, in particolare nella parte finale, l’acqua ristagnava e allagava le campagne circostanti. La deviazione dell’ultimo tratto nell’Osellino per portarne le acque in laguna Nord – che risulta funzionare già nel 1520[3] – non fece che peggiorarne il deflusso, tanto che nel 1535 e nel 1545 furono segnalate imponenti inondazioni.
Per la difesa e il riparo dei fiumi si costituirono consorzi tra i diversi proprietari terrieri, alle dipendenze del Magistrato alle Acque della Repubblica Veneta. Tra questi c’era il consorzio Marzenego-Osellino, insieme a quelli per lo Zero, il Dese, il Bigonzo-Serva.
Ma i lavori di scavo degli alvei e di arginatura previsti non sempre furono realizzati a causa degli interessi contrastanti dei proprietari. (vedi in questo sito il saggio di Claudio Pasqual, Storia di un corso d’acqua_3)
L’opera di Tomaso Scalfuroto
Quando Tomaso Scalfuroto nel 1782, su richiesta del Magistrato alle Acque, studia la situazione dei territori compresi tra Castelfranco-Noale e Mestre-Torcello, denuncia i continui allagamenti e la scarsa manutenzione del fiume e dei suoi affluenti e propone di creare un unico consorzio e un unico piano di bonifica e manutenzione, perché Marzenego, Dese, Zero, Sile dal punto di vista idraulico risultano tra loro strettamente interdipendenti. In quell’occasione predispone un catastico in cui censisce le proprietà immobiliari da tassare per la bonifica idraulica[4]. Nella cartografia allegata si vede il Marzenego che attraversa con tutte le sue anse un bacino ancora agricolo fino ad arrivare a Mestre al cui interno crea un’isola ben visibile.
Nel 1783 il Senato approva la formazione del Consorzio del Terraglio e della Castellana e l’imposizione di una tassa per finanziare i lavori; nel 1784, su progetto dello stesso Scalfuroto, viene fatta la rettifica dell’ultimo tratto del Marzenego a valle di Mestre per velocizzarne l’immissione nell’Osellino. Ancora oggi tracce del paleoalveo sono visibili nelle carte tecniche regionali; per il valore storico-archeologico e naturalistico dell’area numerose associazioni ne hanno chiesto la tutela ambientale. (vedi per esempio il libro “I valori dell’area Cavergnago – Paleoalveo del Marzenego” riportato in questo sito)
Poi con la caduta della Repubblica tutto si ferma [5].
La “foce alle rotte”
Le denunce di allagamenti del Marzenego nella campagna circostante, ma anche a Noale e Mestre, continuano durante la dominazione austriaca e il regno d’Italia, insieme alle proposte e ai progetti, ma verranno portate a termine solo ordinarie manutenzioni, almeno fino al 1888 quando sarà costruito lo scaricatore alle Rotte presso il forte Manin a San Giuliano, regolarizzando la pratica di rompere l’argine in quella zona durante le piene. Questo manufatto, travolto nel 1895 da una piena, fu ricostruito nel 1938, collegandolo all’Osellino attraverso 5 porte vinciane.
Ma non si trattava certo di un intervento risolutivo se Antonio Rosso, stendendo nel 1943 la variante al piano regolatore dell’abitato di Mestre del 1937, denuncia il disordine idraulico dovuto alla mancata sistemazione dei corsi d’acqua, della fognatura urbana e della bonifica e scrive:
“Per quanto riguarda il Marzenego […] è soprattutto la parte alta che ha bisogno di sistemazione. Insufficienza dell’alveo, sbarramenti esistenti, quote deficienti degli argini, depressione dei terreni fanno sì che il corso d’acqua non è in grado di contenere e di smaltire tutte le acque di piena, cosicché si devono periodicamente lamentare allagamenti dei terreni limitrofi, che hanno dannose ripercussioni sull’abitato del Comune di Venezia (Mestre e Zelarino), ma che si manifestano abbondantemente anche nei comuni di Maerne – Noale – Trebaseleghe – Piombino Dese – Resana.
Larghe zone vengono per lungo tempo sommerse, conseguendone che la popolazione rimane bloccata nelle case e impedita ad accedervi. Numerose famiglie e fattorie restano isolate, causando ciò difficoltà di approvvigionare la popolazione colpita e necessità di imbastire servizi di fortuna con tavolati a ponte, dove è possibile, o traghetti fatti con piccole barche malsicure[6].
Antonio Rosso: troppa acqua nelle origini del fiume
Antonio Rosso era allora ingegnere capo divisione della direzione municipale dei servizi tecnici di Venezia, ma nel predisporre la variante al piano regolatore di terraferma studia l’intero bacino del Marzenego e individua le cause principali degli allagamenti nei volumi d’acqua che dalle fosse di Castelfranco si immettono nell’asta superiore del fiume attraverso il torrente Avenale .
Osservando questa carta allegata alla sua relazione si nota come già a sud di Resana, nel cui comune – frazione di Fratta – esiste la sorgente considerata la vera origine del Marzenego, il fiume viene ingrossato in modo significativo dall’immissione dell’Avenale che nel 1940 poteva portare, in periodo di piena, anche 20 m³ di acqua al secondo. Nella carta è segnato il canale di scarico delle acque della Brentella nel Muson dei sassi, messo in esercizio dal consorzio Dese Superiore nel 1941 per alleggerire il Marzenego.
Ma questo lavoro non è ritenuto sufficiente da Rosso, che continua a ritenere causa prima del disordine idraulico il notevole volume d’acqua che viene a immettersi all’origine del fiume[7] ,anche se segnala come concause la depressione dei terreni nell’asta finale, la scarsa manutenzione di molte chiaviche e fossi collettori come quelli della strada Castellana a Zelarino e il non funzionamento dello scaricatore alle Rotte.
La proposta dei lavori da farsi è conseguente alle cause: scavo dell’Avenale e delle fosse di Castelfranco, sistemazione del primo tratto del Marzenego, manutenzione dei corsi d’acqua e dei fossati attorno a Mestre, sistemazione dello Scaricatore alle Rotte.
Siamo in tempo di guerra, la gente ha ben altri guai da affrontare, ma è interessante il cambio di ottica che si nota in questo piano regolatore, perché il rischio idraulico non viene valutato solo per i danni alle campagne e all’agricoltura, ma soprattutto per quelli all’abitato di Mestre che già allora sta assumendo uno straordinario sviluppo. Se il rischio idraulico dipende anche dall’importanza economica dei beni insediati sul territorio e che si devono difendere rispetto ai fenomeni alluvionali, Antonio Rosso segnala che obiettivo primario degli interventi di difesa idraulica dal Marzenego è la messa in sicurezza dell’abitato di Mestre “la nuova Venezia attiva, feconda di lavoro e di promesse”.
[segue]