I consumatori cominciano a protestare contro i mugnai
Quando la protesta divenne reale il primo ad avvicinare preoccupato il commissario fu il sindaco di Zelarino.
Una sessantina di capifamiglia si era recata in municipio per manifestare “il malumore a motivo delle esagerate pretese dei mugnai”. Simili proteste si attuarono a Favaro, Chirignago e Spinea. La polizia timorosa per l’opera di qualche oscuro agitatore invitò nuovamente i sindaci ad “obbligare i mugnai a tenere costantemente affissa nei rispettivi opifici una tabella autenticata dal sindaco colle separate precise indicazioni di quanto percepiscono per tassa governativa e per mulenda”. In via riservata giunse al sindaco di Zelarino un’ulteriore nota il cinque aprile 1876. Il commissario di p.s. segnalava che “nelle campagne serpeggiava il malcontento a riguardo dell’imposta sul macinato lamentandosi che l’aumento delle quote fisse operative e le esagerate pretese dei mugnai (altrove si usò il termine ingordigia) rispetto alla mulenda hanno creato nei numerosi consumatori, specialmente del granoturco, una falcidia insopportabile ed un sacrificio superiore alla maggiore tolleranza”.
Il sindaco fu invitato a “prevenire qualsiasi turbamento dell’ordine pubblico o eccitamento degli animi” nonché a far applicare la legge ai mugnai (le famose tabelle coi prezzi).
Anche perché, caduto il governo di Destra, la Sinistra si apprestava a rivedere la tassazione e “essendo quest’opera ardua e complessa, fa d’uopo (sic) che ogni buon cittadino ne attenda l’esito senza impazienze, ed alieno assolutamente da inconsulte e rumorose dimostrazioni”. Per ora al sindaco fu consigliato di usare la mano forte “essendo l’avidità dei mugnai nell’esazione della mulenda la maggiore fonte di malcontento”.
La revisione della tassa è ostacolata dalla “ingordigia” dei mugnai
Il sindaco di Zelarino Riedl rispose alla fine di aprile del 1876. Il regio commissario fu informato che “le imprecazioni ed i malumori continuano a farsi sentire pella gravosa ed insopportabile tassa del macinato”. Ma evidenziò anche la debolezza nei confronti dei mugnai. Riedl disse che non esitò a richiamare i mugnai per consigliarli e persuaderli ad abbassare le quote che esigono a titolo di mulenda dai consumatori. Malgrado “le calde esortazioni” non ottenne nulla in quanto i mugnai “dichiararono che pell’incostante livello delle acque dei loro mulini” non c’era garanzia sulla quantità di prodotto lavorato. Il cambiare delle condizioni climatiche non garantiva un reddito costante.
I mugnai lamentano non più la concorrenza ma le conzioni climatiche
Ragione per cui i mugnai avevano aumentato la quantità di prodotto richiesto come mulenda. Non mancarono di fare presente, con un velato ricatto, al R. Governo che “facendo riflesso agli estesi malumori specialmente nelle classi meno agiate (…) vengano loro accordati dei convenienti ribassi” alle tasse che devono pagare. Riedl concluse suggerendo alle autorità, “allo scopo che vengano prevenuti ben più gravi disordini”, siano attuati quei provvedimenti che rendano meno gravosa la tassa sul macinato. Il contenzioso tra mugnai e istituzioni ora si svolge su un piano legato alle condizioni del fiume: troppa acqua per cui le ruote si allagano e non girano; oppure poca acqua e il mulino non macina. Non c’era più la concorrenza sleale dei mulini del Sile o dei comuni del circondario. Di mezzo c’era in ogni modo sempre la tassa sul macinato e il rischio del collasso dell’ordine pubblico.
Succedeva dunque che, con scuse diverse, i mugnai aumentassero le loro richieste in denaro e in generi, verso i consumatori. Adducevano come scusa ipotetici aumenti della tassa sul macinato in realtà non informando quale quota riguardava la tassa e quale la mulenda. Il commissario di Mestre informò il prefetto di questa situazione il 22 aprile 1876. Riportò una petizione del sindaco di Favaro e di “quaranta comunisti” che protestavano “per le arbitrarie sottrazioni in natura fatte dai mugnai a titolo di tassa e di mulenda dal genere che viene loro consegnato pella macinazione”. Non mancò anche di segnalare “una certa debolezza nei sindaci dei comuni ove esistono opifici destinati alla macinazione nel far rispettare le disposizioni”. Lo stesso sindaco di Zelarino fece presente qualche giorno dopo che “gli animi siano colà conturbati pelle arbitrarie sottrazioni dei mugnai (…) onde rifarvisi, dicono essi, del maggiore aggravio delle quote fisse” della tassa sul macinato. Pare di capire, dunque, che ora i mugnai non esitino a calare sui consumatori gli aumenti della tassa, così come le presunte difficoltà di macinazione.
I mugnai sono “avidi, capricciosi, ingordi, ecc.”, ma…
Prendendo atto delle osservazioni del sindaco Riedl il commissario di Mestre, nell’inviare al prefetto la sua nota informativa, ricordò che “è un fatto che i mugnai di Zelarino non meno che gli altri tutti del Distretto, sotto il pretesto di non so quali variazioni del livello dell’acqua dei loro opifici non intendono di ottemperare all’obbligo di tenere esposto la Tabella di quanto prelevano in natura o fanno pagare in denaro a titolo di tassa e di mulenda”. In qualche altro documento del 1876 si scrisse di mugnai “avidi” o “capricciosi” e nella relazione al prefetto di Venezia sullo “spirito pubblico” della necessità per le istituzioni “di porre a freno l’ingordigia dei mugnai”.
Ancora nella relazione sullo spirito pubblico del secondo semestre del 1878 si scrisse del “malcontento che serpeggia” nelle campagne per “la carezza dei generi di prima necessità, nonché dell’aumento delle pubbliche imposte, tra le quali il macinato che specialmente pei noti abusi dei mugnai diventa sempre più odiosa e impresentabile”.
… ma la tassa sul macinato resta comunque “odiosa e impresentabile”
Nella stessa relazione si racconta della possibilità di eliminare la tassa sul macinato. Credo sia interessante citarla ampiamente per comprendere la mentalità dei ceti borghesi sulla questione. Il commissario di Mestre scrisse al prefetto in questi termini: “L’ardua questione dell’abolizione della tassa sul macinato dibattuta in seno alla Camera elettiva con esito corrispondente alle aspirazioni del paese, trovò qui molti increduli sulla possibilità di realizzarla completamente nel 1881 (…) e di colmare il deficit proveniente dall’abolizione colle riforme tributarie e colla parsimonia nelle spese senza applicare nuove imposte. Egliè perciò che mentre nessuno nega in massima l’opportunità di sopprimere un’imposta generalmente odiosa che colpisce il primo nutrimento della popolazione, si riconosce in pari tempo la necessità di andare cauti nel realizzarla e soprattutto prevedere prima con sicurezza a colmare il vuoto di ben ottanta milioni che lascerebbe la completa abolizione di questa tassa. Generale è il desiderio (…) che venga adottato un piano che mentre soddisfi alle aspirazioni del paese urti il men che è possibile le condizioni economiche della possidenza del commercio e delle industrie già abbastanza aggravate colle attuali imposte”.
Nonostante questo scarso entusiasmo per l’abolizione della tassa sul macinato questa venne abolita effettivamente nel 1881.
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