“Sciopero” delle tasse
I mugnai misero allora in pratica una strategia alternativa: tennero aperto l’esercizio ma non pagarono le rate mensili dovute all’Erario. Nel giugno del 1869 il commissario distrettuale di Mestre avvisò il sindaco di Zelarino che i mugnai del comune non avevano pagato “3-4-5-6 e perfino 8 rate del canone dovuto” e che quindi c’era l’urgenza di “procedere alla sospensione dell’esercizio dei relativi molini”. C’era la necessità di sapere quale mulino “pel pubblico servizio” si doveva riattivare per i bisogni della popolazione. Gradenigo non intese esporsi a questa richiesta. Rispose che qualora si dovesse arrivare a questa soluzione, “e cioè di chiudere i mulini di questo comune per mancanza di pagamento, sarà necessario che taluno di essi venga riattivato d’ufficio” perlomeno uno per frazione. Ma egli ribadì che “non intende(va) addossarsi alcuna responsabilità nell’indicare se ad uno piuttosto che ad altro” fosse da praticare questa misura.
Il commissario di Mestre il 1 luglio 1869 maturò la decisione che, contemporaneamente alla chiusura coattiva dei mulini, fosse tenuto aperto per i consumatori il solo mulino Scanferlato. Investì nuovamente il Gradenigo affinché individuasse due persone che tenessero aperto in nome del governo quest’opificio. Dovevano essere forniti di “probità e capacità e scevri da rapporti di parentela, di amicizia o di interesse coi mugnai”. Qualche giorno dopo, con due frettolose righe, il sindaco rispose che “nel comune di Zelarino non havvi individuo uno che fosse atto a disimpegnare le delicate funzioni” in questione. In una nota a margine fece presente al commissario di Mestre che anche Giacomo Da Lio aveva presentato istanza per ridurre la tassazione da 191 lire a 100 lire mensili.
Non ci fu verso di coinvolgere il Gradenigo nella querelle burocratica tra mugnai e stato. E, d’altra parte, aveva già fatto capire per chi parteggiava. Ai primi di agosto scrisse al ministero delle Finanze che “le lagnanze dei mugnai sono purtroppo appoggiate a giuste ragioni e la loro infelice condizione merita i più seri riguardi”.
Nel frattempo che si profilavano le chiusure coatte per morosità dei mulini il ministero delle Finanze cercò di trovare una soluzione alla gran confusione creatasi.
Il Ministero cerca una mediazione
I sindaci furono informati che i contatori meccanici sarebbero stati disponibili in gran numero solo a partire dal 1870. Per evitare la concorrenza delle tariffe tra mugnai propose loro di costituirsi in consorzio di distretto o di provincia. La tesi era questa: i mugnai consorziati dovevano riscuotere “uniformemente la tassa dagli avventori, ripartire tra soci il peso del canone annuo dovuto allo stato, nonché gli utili complessivi che ricaverebbero nell’esazione dell’imposta”. I mugnai costituiti in società non si farebbero più concorrenza con la tariffa della tassa e “ogni molino rientrerà nelle condizioni di lavoro in cui trovavasi innanzi l’esistenza della tassa”. Ma non solo.
“Ogni esercente prenderà parte ad un guadagno che lo ricompensa del pericolo o delle spese dell’esazione”. Ai mugnai che non accetteranno la proposta sarà immediatamente collocato il contatore.
La concorrenza tra mulini e distretti favorisce gli utenti ma spacca i mugnai
Due osservazioni si possono fare a questo punto. La prima riguarda i consumatori, contadini o membri del popolo urbano di Mestre. Fino a questo momento non protestarono, non avanzarono petizioni, non costituirono un problema d’ordine pubblico. E’ da ritenersi che in questo frangente abbiano saputo destreggiarsi nella ricerca di chi faceva i prezzi migliori, anche andando a macinare sul Sile o a Martellago dove le tariffe, abbiamo visto, erano più basse e ci abbiano guadagnato. La seconda è che probabilmente qualche mugnaio ci rimetteva parte del guadagno, ad esempio quelli di Zelarino. Ma in tema di redditi e tasse si sa quanto poco affidabili siano le dichiarazioni personali.
In definitiva ci rimetteva però anche lo stato perchè non incassava quanto era nelle potenzialità. Sorse dunque la necessità di trovare un accordo con i mugnai per renderli buoni e bravi esattori. Il ministro delle finanze arrivò dunque a prospettare loro un guadagno, non solo per la macinazione (cosa ovvia), ma anche per l’esazione della tassa.
I mugnai: proposta inaccettabile e non realistica
Interpellati nel merito i mugnai di Zelarino stroncarono senza appello la proposta. Per loro l’associazione dei mugnai di un comune o di un distretto era così “poca cosa che non poteva dare alcuno dei vantaggi esposti nella circolare del ministro”. Il vero problema era “la concorrenza fatale esercitata dagli innumerevoli molini posti lungo il Sile, sempre provveduti d’acqua, quindi sempre nella possibilità di lavorare”.
Prima della tassa i molini sul Sile lontani dal distretto di Mestre “rimanevano inerti buona parte dell’anno”. E, proprio in virtù di questo, abbiamo già scritto, ebbero una facilitazione nei contratti con l’Erario. Ora con il lavoro triplicato potevano “abbonare per intero o quasi la tassa governativa”. Gradenigo riferì poi che i mugnai di Zelarino considerarono “per lo meno molto problematico, se non assurdo, che vi possa essere un guadagno nell’esazione della tassa da ripartirsi fra i soci”.
A queste motivazioni se ne aggiunsero altre più articolate sull’impossibilità di verificare l’effettiva riscossione della tassa, sulla diffidenza reciproca tra mugnai e sulla mancanza di controllo della cooperativa. Riproposero che l’unica soluzione fosse la riduzione della tassa e l’installazione a spese dello stato dei contatori su tutti i mulini. Diversamente sarà la rovina.
Insomma, questo tentativo di “collettivismo forzato” fu respinto dai mugnai di Zelarino.
E’ interessante notare come in questo frangente il Gradenigo si espresse spesso con la parola “onestà”. A suo dire i nostri mugnai non furono ricompensati dal governo per la loro “onestà ed abnegazione” nel denunciare la verità all’Erario; e altrove addirittura scrisse che furono “più onesti degli altri, i mugnai di questo comune nel fare la loro dichiarazione. Si appoggiarono alla pura verità e perciò denunciarono più di quanto facessero altri mugnai dei comuni limitrofi”.
Quest’atteggiamento benevolo verso i mugnai, come vedremo, non si ritroverà più in avvenire.
La proposta di una associazione tra i mugnai fallisce in partenza
La questione del consorzio tra mugnai si risolse in modo definitivo nell’agosto del 1869. I sindaci che avevano dei mulini all’interno del territorio comunale si riunirono al R. Commissariato di Mestre. Si incontrarono Girolamo Allegri di Mestre, Giacomo Bernasconi di Marcon, Piero Berna di Martellago e il conte Girolamo Gradenigo di Zelarino. La relazione di quest’ultimo fece il punto della situazione e della difficoltà, se non dell’impossibilità, di convincere i mugnai ad unirsi in consorzio.
Unica soluzione prospettata, anche per dimostrare alle istituzioni statali che esisteva ancora qualche possibilità, fu una non ben chiarita “fusione morale tra mugnai del Distretto di Mestre e Distretto di Treviso”. Naturalmente non se ne fece nulla e la proposta di consorzio cadde.
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