Dopo un anno d’applicazione della tassa i sindaci presero atto del malcontento popolare ma, principalmente, dei problemi, che ancora rimanevano, legati alla riscossione da parte dei mugnai. Il più preciso e puntuale nell’analisi della situazione fu il sindaco di Martellago, Berna, tra le altre cose proprietario di un mulino in quel comune. Nell’ottobre del 1869 disse che “la tassa sul macinato in questo primo anno di vita fece cattivissima prova di sé”.
La caotica applicazione della tassa
Questa fu “imperfettamente applicata” e osservata con “assoluto arbitrio”, dando “meschinissimi profitti allo Stato”, ingenerando piena sfiducia nel Governo. Successe che nel suo comune fu accertato il reddito dei mulini e da questi ultimi furono versate le tasse corrispettive. Si accorsero però che i mulini del limitrofo comune di Scorzè procedevano nel loro lavoro “senza accertamenti, senza licenze, senza versamenti”. Potendo questi ultimi offrire un prezzo più conveniente agli utenti costrinsero anche i mulini vicini a adeguarsi. Abbiamo già visto che i mugnai di Zelarino protestarono contro i prezzi troppo bassi praticati da un mugnaio di Martellago. Prima che le autorità intervenissero passarono quattro mesi nei quali ognuno fece il prezzo che credeva, chi esigendo la tassa, chi no, e “nessuno corrispondendo un centesimo”. Continuò il Berna che, finalmente, “si decisero varie chiusure di molini” mentre altri ritenuti necessari furono tenuti aperti grazie ad agenti governativi. Fu il caos più completo, con nuove dichiarazioni dei mugnai, alcune accolte altre respinte senza sapere perché, senza accertamenti, e con “assai pochi che abbiano soddisfatto la tassa”. “Nessuna efficace misura di rigore, nessun atto che dimostri il fermo proposito di voler osservare e mantenere la legge, mulini chiusi e suggellati che tutto il giorno impunemente funzionano; dichiarazioni accolte o respinte senza buone e forti ragioni (…) in una parola demoralizzazione assoluta e verso la legge e verso il Governo”. Questa situazione caotica andò a favore della popolazione in quanto i mugnai chiesero l’esazione della tassa “in minime proporzioni” e poi, concludendo, Berna osservò che “in fin dei conti queste popolazioni gridano ma poi pagano”.
A Zelarino, abbiamo visto, si visse la stessa situazione. Nel dicembre 1869 il bilancio del primo anno d’applicazione dell’imposta sul macinato fu fatto dal Gradenigo parlando principalmente di mugnai. “Se la tassa sul macinato fu causa di ripetuti disordini più o meno gravi ciò avvenne pei modi con cui fu applicata”. Lagni dei mugnai e lamenti dei contribuenti, erano causati dalla sperequazione con cui furono tassati “singoli esercizi in modo molto diverso e che avevano quasi la medesima importanza”. Gradenigo denunciò le solite cose: la concorrenza dei mulini della provincia di Treviso e il fatto che i contatori non fossero utilizzati su vasta scala.
La tassa non funziona per la sua gestione caotica e per il boicottaggio dei mugnai
Anche il sindaco di Marcon intervenne a difesa del proprietario dell’unico mulino del comune. Quest’ultimo trattenne “agli avventori una modica tassa per conto del r. Erario e ciò lo fece in vista del proprio interesse perché nel caso diverso tutti sarebbero andati a macinare altrove. In tal modo la popolazione poté essere se non soddisfatta almeno non molto scontenta”. Anch’egli chiese l’installazione dei contatori meccanici per contare il numero dei quintali macinati in rapporto al numero dei giri. Diversamente il “disordine” esistente avrebbe costretto alla chiusura l’unico mulino del comune non in grado di far fronte ad un mercato dove i mugnai si rubavano i clienti mandando in giro per le campagne carretti in cerca di lavoro “promettendo facilitazioni di mulenda e di tassa”. Insomma pare proprio che, nel primo anno d’applicazione della tassa sul macinato, le preoccupazioni maggiori non siano venute dai contadini o dalla popolazione povera, ma dai mugnai, restii a sottoporsi al controllo fiscale, oppure gravati dall’Erario in modo troppo difforme dalle effettive capacità produttive del loro mulino.
Forse per timore della concorrenza, e operando tra le maglie larghe di uno stato arruffone e per nulla ligio nella applicazione della legge, i mugnai non calcarono la mano sui clienti, e non furono fiscali nella riscossione della tassa.
Vedremo che qualche anno dopo, nel 1876, assorbito il trauma dovuto alla novità, e scemati i rischi di una rivolta popolare, i mugnai adottarono un atteggiamento diverso. Più spregiudicato e rientrante nel cliché tradizionale e popolare del “munaro ladro”.
I prezzi aumentano: colpa della tassa o dei mugnai?
Questo ruolo andò bene anche alle istituzioni dello stato che deviavano verso altri il malcontento sulla tassa del macinato. Il problema sorgeva se certi limiti si superavano e si pregiudicava l’ordine pubblico. Con queste preoccupazioni, nel gennaio del 1876, il ministro dell’Interno, scrisse al prefetto di Venezia che “in provincia i mugnai esigono compensi eccessivi per la macinazione dei cereali, ed a loro scusa vanno insinuando che siasi aumentata la tassa dovuta allo stato”. Fermo restando il diritto dei mugnai di convenire liberamente con i clienti il prezzo della mulenda, il ministro scrisse: “Debbo preoccuparmi delle conseguenze che potrebbero derivare nei rapporti dell’ordine pubblico dalla diffusione di voci inesatte a carico dell’amministrazione dello stato”. Concluse scrivendo che “se i mugnai intendono rendere caro il loro lavoro, non si può permettere che riversino sul Governo l’odiosità che essi suscitano con una tariffa troppo alta della mulenda”. La proposta è semplice: l’esposizione di una tabella con la quota della tassa governativa e una con la quota per la macinazione.
Il prefetto si attivò in questo senso, ma dopo qualche mese nulla si era ottenuto da parte dei mugnai. Il commissario di Mestre accusò i sindaci che col “loro silenzio o con aperta manifestazione verrebbero ad incoraggiare i mugnai a sottrarsi ad ogni vincolo di tariffa rispetto alla mulenda”. Insomma, i mugnai appoggiati “tacitamente od esplicitamente dai rispettivi municipi” e richiamandosi alla “libertà di commercio” favorivano “il monopolio di pochi esercenti a scapito delle masse dei consumatori e rendevano odiosa la Legge sul macinato”.
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