Quando il Veneto passò sotto l’Austria, la situazione del territorio mestrino non risultava affatto migliorata rispetto ai tempi dell’ispezione del proto Scalfurotto. Fonti di primo Ottocento descrivono come ancora critica la condizione dei fiumi e precari gli equilibri idraulici delle campagne.
Nel primo 800 permane uno sconfortante panorama di esondazioni e allagamenti prolungati
La grande inchiesta degli Atti preparatori al Catasto, del 1826, e la relazione del perito Giuin Manocchi al Consorzio Dese del 1827 concordano nel descrivere uno sconfortante panorama di esondazioni e allagamenti prolungati anche nella parte più alta del distretto mestrino, a Martellago e a Maerne; di strade interrotte e danneggiate; di raccolti rovinati; dei terreni sul bordo lagunare da Bottenigo a Terzo e Tessera, bassi e aperti alle maree, acquitrinosi e impaludati; e tutto questo, a giudizio degli osservatori, per l’insufficienza e inadeguatezza della rete di scolo, per la cattiva condizione degli argini, per la mancanza degli escavi: l’ultimo effettuato nel lontano 1804. Colpisce la frequenza con cui si succedettero eventi particolarmente catastrofici, allagamenti su larga scala, grandi inondazioni: nel 1817, 1823, 1824, 1826.
I regimi succeduti alla Serenissima ripristinarono per la gestione della rete idrografica i consorzi pubblici e obbligatori fra proprietari. Nell’età rivoluzionario-napoleonica, le complicate vicende politico-militari e i cambi di dominazione avevano comportato la paralisi di queste istituzioni. Un tentativo fu compiuto durante il breve Regno d’Italia dai francesi,con la creazione nel 1808 del Comprensorio del Dese, che includeva anche i bacini del Marzenego e dello Zero. Fu però soltanto con il Lombardo-Veneto che i consorzi tornarono a essere effettivamente operativi. Gli austriaci li istituirono fin da subito, nel 1814, e i tre fiumi furono riuniti nel consorzio di scolo Dese.
Rivalutazione dei Consorzi
Le competenze assegnate all’ente erano dunque circoscritte e limitate, in continuità con un’impostazione tradizionale per quest’area, agli interventi di costruzione e manutenzione di canali e alle operazioni di sfalcio delle erbe. Un primo importante provvedimento fu proprio l’ispezione ordinata nel 1827 all’ingegner Giambattista Giuin Manocchi, preliminare alla programmazione degli interventi d’istituto del consorzio. Il tecnico mestrino, riconfermando l’analisi dei suoi predecessori, individuava in un più veloce scorrimento dei corsi d’acqua il rimedio ai problemi del comprensorio, suggerendo a tal fine una serie di interventi mirati sulla rete idrica locale. Nel caso specifico dell’Osellino, per risolvere fra le altre cose gli allagamenti dell’abitato mestrino, da lui imputati al canale scavato a inizio Cinquecento, egli proponeva di allargarne l’alveo in funzione del contenimento delle piene, e non di procedere all’innalzamento degli argini come si ventilava, giudicando pericoloso imprigionare il fiume entro rive troppo alte e strette.
Quest’ultima indicazione non fu tuttavia accolta e prevalse un’altra ipotesi di soluzione: l’apertura di un canale scaricatore dell’Osellino in zona Marghera-San Giuliano. A questo punto tuttavia cominciavano le divergenze di opinione: da far sboccare nel Canal Salso o direttamente in laguna morta presso il forte O, dagli italiani più tardi intitolato a Daniele Manin? Il governo si opponeva alla seconda opzione, per il consolidato principio della separazione delle acque fluviali e lagunari; nel 1848 il Comune riuscì a bloccare un progetto di scaricatore sul Salso. Mentre si aprivano rotte sull’argine contermine come rimedio tampone, finalmente nel 1865 la Delegazione provinciale di Venezia approvò uno “stabile scaricatore delle piene dell’Osellin” attraverso l’argine lagunare.
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