Storia di un corso d’acqua – 2

2. Il corso originario

Una ricostruzione esatta del corso originario del Marzenego è impossibile, considerate le profonde modificazioni, solo in parte documentate, conosciute nei secoli dall’asta fluviale e dalle strutture territoriali. Un’indubbia incidenza hanno avuto i fattori naturali: i sistemi fluviali della bassa pianura veneziana erano di per sé caratterizzati da una forte instabilità, con frequenti esondazioni e divagazioni, con diversioni di alvei, con la tendenza delle acque a ristagnare e impaludare l’area di gronda, in un ambiente anfibio, tra terra, laguna e mare, assai mutevole.

 

Ma un peso altrettanto se non maggiore hanno esercitato i fattori antropici, le innumerevoli deviazioni e rettifiche, anche minime, che hanno alterato il corso del fiume. L’andamento parallelo di Marzenego, Dese, Zero e Sile induce a pensare che i tracciati attuali corrispondano grosso modo a quelli naturali stabilitisi nell’ultimo periodo postglaciale. C’è chi ha supposto che il nostro fiume abbia occupato un alveo abbandonato dal Muson in uno dei suoi ripetuti cambi di percorso.

 

Il Marzenego

Il Marzenego è un fiume di pianura, lungo circa 45 chilometri, con un bacino di 6.294 ettari che non è tuttavia interamente pianeggiante.

Una piccola porzione insiste infatti sui colli asolani, dove nasce il fiume Musonello, che giunto in pianura è ingrossato in quel di Resana dalle risorgive (nell’area di Castelfranco Veneto dove si trovano anche le sorgenti di Dese, Zero e Sile) e dagli affluenti Rio Musonello e Brentella, e in località Fratta assume l’idronimo Marzenego (ma nel corso inferiore, nel medioevo era chiamato anche flumen de Mestre).

Uscito dal comune di Resana, il Marzenego fa da confine fra Piombino Dese e Loreggia, attraversa la parte meridionale del territorio di Trebaseleghe, bagna l’abitato di Noale, transita sotto Robegano e per Maerne, scorre a sud di Trivignano, lambisce Zelarino, entra a Mestre per gettarsi infine un tempo in laguna nella zona di Marghera-San Giuliano.

All’interno dell’abitato di Mestre il Marzenego scorreva in un unico letto. L’attuale ramo meridionale del fiume, infatti, sarebbe stato in origine il tratto finale di un antico alveo del fiume Muson, identificato nelle carte antiche con gli idronimi Musonel, Fiumetto, Fimetto e per ultimo Rio Cimetto, che sfociava nel Marzenego in un punto poco oltre l’attuale Centro LeBarche. Il raccordo in località Sabbioni, nella zona dell’attuale via Olimpia, con il quale si derivava parte delle acque del Marzenego nel Cimetto per diminuirne la portata, risulta esistente già nel XVI secolo. Ma perso il ricordo di tale intervento, il rio è diventato il ramo sud del Marzenego, detto delle muneghe o di San Lorenzo o della Campana.

 


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Il corso del Marzenego e l’antica confluenza del Rio Cimetto

 Fig. 1. Mappa “ove mostra la mano è stata aperta la intestadura” (1682). Fonte: Donatella Calabi, Elena Svalduz, Il borgo delle Muneghe a Mestre. Storia di un sito per la città, Fondazione di Venezia-Marsilio,Venezia 2010, p. 31 (collocazione originaria: Biblioteca Comunale di Treviso, Fondo cartografico, mappa 13).

 

Marzenego, Dese e Zero erano piccoli fiumi: “fiumicelli” li chiamano spesso i documenti. Avevano e hanno tuttora un alveo ristretto, portate relativamente costanti e scarse con ridotto trasporto di alluvioni, e deflusso lento per la debole pendenza: fra la sorgente e la foce il Marzenego scende di soli 29 metri e mezzo. Nel suo corso naturale esso si snodava nella pianura con un andamento notevolmente sinuoso, molto accentuato nel tratto finale a valle di Mestre. Dietro questa apparenza tranquilla e inoffensiva, tuttavia, i nostri fiumicelli nascondevano un’indole insidiosa. In occasione di piogge particolarmente abbondanti, potevano uscire dai loro letti e allagare le campagne circostanti. Nel corso inferiore, in un territorio basso e piatto al margine della laguna e soggetto al flusso di marea, esondando e ristagnando formavano vasti acquitrini; infine si disperdevano in laguna morta in tanti rivoli nei ghebi e fra le barene, apportandovi detriti e creando con la mescolanza delle acque estese e malsane paludi salmastre.

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