Mentre durava questa complessa vicenda politica e amministrativa, anche se non soprattutto per effetto dell’azione statale e delle sue deficienze l’entroterra veneziano continuava a essere sistematicamente funestato da straripamenti e rotte di fiumi e inondazioni, e la fascia costiera ridotta ad acquitrino malsano. Dalle autorità pubbliche la causa era individuata al solito nell’imbonimento dei corsi d’acqua, e la responsabilità addossata alla mancanza di una regolare manutenzione dei letti e degli argini.
…così miserabile conditione … il pregiudicio della mall’aria … abbandonare le proprie habitationi
Anche nel Seicento e Settecento si rincorsero gli ordini di escavo dei fiumi e dei loro affluenti, così come le misure contro gli abusi dei mugnai; provvedimenti parziali ed estemporanei, che se effettuati non miglioravano se non momentaneamente la situazione, o che addirittura furono cassati, come dopo la terribile inondazione del 1630, quando il Senato dovette constatare che il Mestrino era ridotto “a così miserabile conditione […] che per iscansar il pregiudicio della mall’aria […] convegnon abbandonare le proprie habitationi”, ma le opere allora deliberate furono annullate in vista di uno di quei progetti di regolazione generale che non si realizzarono mai.
Per la manutenzione dei fiumi la Repubblica aveva istituito fin dal Cinquecento dei consorzi. Al 1589 risale quello fra i proprietari di fondi nel bacino dello Zero. Altri se ne formarono per il Dese, il Marzenego-Osellino e il Bigonzo-Serva, affluenti del Sile.
Istituzione dei Consorzi e gli ostacoli al loro funzionamento
Si trattava di consorzi di difesa, che avevano come loro doveri istituzionali le opere di arginamento e la pulizia ed escavo degli alvei. Non risulta tuttavia che tali enti abbiano mai funzionato a dovere, pare anzi che fossero di fatto inattivi. Il Settecento vide un intensificarsi dell’azione del governo veneziano in questo ambito.Nel 1721 il Senato approvò la creazione di un nuovo consorzio per il Marzenego-Osellino; nel 1766 ne ordinò l’istituzione anche per ciascuno degli altri fiumi, Dese, Zero e Sile. Ancora una volta, tuttavia, questi enti non furono nei fatti mai operativi. Prevalse la resistenza dei proprietari contro le obbligazioni consortili, ora sorda attraverso la mancata approvazione di statuti e regolamenti o la vacanza delle cariche, ora palese, ad esempio con il ricorso legale da parte degli associati dei comuni superiori del comprensorio del Marzenego-Osellino contro la tassa consorziale – il campatico – gettata nel 1749, giustificato con l’argomento che gli interventi andavano a beneficio esclusivo dei comuni a valle.
La contrastata vicenda dei consorzi, con la tenace dialettica tra Stato e proprietari del territorio, accompagna il cambio di paradigma che si produsse nella politica veneziana nel corso del XVIII secolo, con il baricentro dell’azione di governo che si venne spostando dalla tutela della laguna, pure ancora essenziale, alla difesa e risanamento idraulico dell’entroterra. Quando gli abitanti di Mestre nel marzo del 1707 inviarono al doge una supplica in cui lamentavano che la loro economia, dipendente dai traffici commerciali con la Germania, era in ginocchio per l’intransitabilità del Terraglio e della strada per Noale, frequentemente allagate ed erose dai fiumi, dopo che furono realizzati alcuni interventi nel corso superiore, gettato il campatico sul consorzio Zero e ordinato nel 1709 l’escavo di Marzenego e Dese, il Senato in quest’ultimo decreto poneva ancora l’accento sui guasti delle torbide nella laguna di Torcello e Murano “colla disalveolazione delle loro [dei tre fiumi] acque”.
L’entroterra ottiene più attenzione e priorità negli interventi
Quando nel 1783, dopo altri progetti di intervento generale approvati e mai attuati, si deliberò il piano del proto Scalfurotto, il consorzio che su sua proposta fu istituito prese il nome dalle due arterie del Terraglio e Castellana, a dimostrazione della primaria importanza che il territorio, e nel suo ambito la rete delle comunicazioni, avevano ormai assunto agli occhi delle istituzioni cittadine.
Dietro segnalazione di privati e amministratori pubblici circa la cattiva situazione idraulica e sanitaria specialmente dell’area lungo l’asta del canale Osellino, incaricato dal magistrato competente di ispezionare il Mestrino ed elaborare un progetto di intervento, nella sua relazione del 1782 Tommaso Scalfurotto molto biasimò, sulla scorta dell’analisi della stretta interdipendenza esistente tra i loro bacini idrografici, che non si fosse fatta la diversione di Marzenego Dese e Zero nel Sile. Soltanto che il punto di vista appariva ora rovesciato rispetto al passato, muoveva dallo stato della terraferma e non dell’estuario. Infatti Scalfurotto nel suo commento si riferiva agli allagamenti della pianura causati dai tre fiumi e al ristagno delle acque nelle campagne più basse della gronda, e non alla laguna.
Constatato l’imbonimento della rete idraulica locale, con la parziale eccezione dello Zero escavato di recente, Scalfurotto propose un piano di manutenzione generale dei corsi d’acqua, affluenti e scoli compresi, oltre che un’energica opera di repressione nei confronti dei soliti mugnai inadempienti ai regolamenti; in base alla constatazione dell’unitarietà del bacino di gronda, egli suggeriva anche di accorpare i diversi comprensori esistenti in un unico consorzio significativamente denominato “del Terraglio e della Castellana”.
Il piano Scalfurotto
Approvata la sua proposta nel 1783, Scalfurotto fu incaricato della redazione di un catastico di tutti i beni del territorio, che riuscì a completare per le podesterie di Mestre e Torcello. Lo strumento fiscale avrebbe dovuto servire da base per la determinazione del campatico; le sue mappe, prima moderna rappresentazione della rete idrografica locale, indice di un importante mutamento culturale e amministrativo, mettevano a disposizione un prezioso strumento di conoscenza ai fini della programmazione di interventi idraulici razionali.
Terminata l’epoca dei grandi interventi strutturali sulle aste fluviali, l’ottica dei governanti privilegiava adesso una politica di manutenzione ordinaria e straordinaria dei fiumi, da conseguirsi attraverso la razionalizzazione della rete dei consorzi e il loro rafforzamento organizzativo.
La rettificazione dell’Osellino
Fu tuttavia in esecuzione del progetto Scalfurotto che fu realizzato il secondo importante intervento di modifica del corso del Marzenego dopo quello del 1505: il rettifilo dell’Osellino nell’area di Cavergnago fra l’abitato di Mestre e il borgo di Marghera (per intenderci, il tratto del canale lungo l’attuale viale Vespucci). Assieme alla rettifica dell’Osellino, furono effettuati fra il 1784 e il 1785 lavori su circa duecento chilometri di fiumi e fossati. Tuttavia il piano Scalfurotto non fu completato, anche per la caduta della Repubblica.
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