Storia di un corso d’acqua – 3

3. Gli interventi sul sistema idrografico dell’area di gronda lagunare (prima parte)

È cosa nota la forte e costante attenzione con la quale Venezia guardò ai fiumi del proprio entroterra.

 

La Repubblica di Venezia. autrice di un radicale ridisegno della rete idrica della pianura

Protagonista di un radicale ridisegno della rete idrica della pianura fra il Brenta e il Piave, mediante la diversione di corsi d’acqua grandi e piccoli, la Repubblica Serenissima ebbe come obiettivo prioritario della sua politica idraulica l’allontanamento delle foci fluviali dalla laguna o comunque dalla città, al fine di tutelarne l’integrità e la salubrità contro i rischi di interramento e impaludamento.

Ogni intervento, compresi quelli sul Marzenego, soggiacque a questo basilare criterio generale, e solo se riguardato in quest’ampia prospettiva politica e territoriale assume e manifesta pienamente il proprio significato.

Le opere sul nostro fiume, in particolare, vanno inquadrate nel più ampio contesto della salvaguardia della laguna nord. Come vedremo, i progetti di regolazione assunsero presto una dimensione unitaria, prevedendo interventi coordinati per Marzenego, Dese, Zero e Sile in connessione con la diversione del Piave. Se quest’ultimo rappresentava con il Brenta la minaccia maggiore, anche fiumicelli come i nostri, ai quali aggiungere il Muson-Bottenigo a sud di Mestre, erano – così sentenziava nel 1501 il Consiglio dei Dieci -“pestiferi et venenosi serpenti” che “di continuo erosegano la città” e “se da queste nostre lagune non se removeno minacciano la total destruttione et desolazione della città”.

I primi provvedimenti risalgono a inizio Trecento, quando il dominio veneziano era ancora circoscritto alla laguna, e non poterono andare oltre il margine interno prospicente la città. Tra i  fiumi maggiori, il piùvicino era il Brenta, che sfociava a Fusina; ma nello spazio fra questa località e Mestre scendevano direttamente in laguna altri corsi d’acqua, il maggiore dei quali era il Bottenigo, idronimo assunto in terra mestrina dal Muson, che vi entrava proveniente da Mirano per andare a perdersi fra le barene dell’Anconetta.

 

Nel 1324 fu decisa la costruzione di un argine dalla foce del Bottenigo fino a un sito dirimpetto all’isola poi scomparsa di San Marco Boccalama poco sotto Fusina, per dirottare verso la laguna di Malamocco a sud di Venezia le acque di quest’area paludosa tramite un canale parallelo all’argine stesso, dotato di bocche per l’eventuale scolo in laguna dei vari rii e fossati; argine poi perfezionato e rialzato nel 1336 e 1339. Acquisita in quell’anno Treviso, Venezia poté pensare di estendere il proprio intervento sul versante a nord-est della città, ma il progetto di prolungare il primo argine in territorio trevigiano non fu realizzato per le incertezze che regnavano nelle magistrature cittadine, non adeguatamente sostenute da una incerta conoscenza del territorio e da competenze tecniche di ingegneria idraulica che rimanevano ancora empiriche e rudimentali.

 

Nel Quattrocento, mentre Venezia era impegnata nella grande operazione della prima diversione del Brenta, per quanto riguarda il Muson e il Marzenego si confrontarono due opzioni: una prevedeva l’immissione di entrambi nel Dese a nord, l’altra la deviazione del primo all’altezza di Mirano verso il Brenta – ambedue faranno poi da base ai progetti cinquecenteschi, e l’una e l’altra saranno poi in parte realizzate, la prima con l’Osellino, la seconda a inizio Seicento con il Taglio Nuovo da Mirano a Mira.

In questa fase, la maggiore opera idraulica realizzata in loco fu la Fossa Gradeniga, canale artificiale rettilineo fra Mestre e San Giuliano sul margine lagunare, per secoli principale via acquea di comunicazione fra Venezia e il continente, deliberato nel 1342 e ultimato probabilmente a inizio Quattrocento.

 

La secolare lotta della Repubblica contro paludi e interramenti

 

Un cambio di prospettiva si verificò tra Quattro e Cinquecento, quando emerse presso le istituzioni veneziane un approccio di tipo nuovo, basato su una visione unitaria e organica della regolazione idrografica della gronda lagunare nord, la quale avrebbe fatto stabilmente da cornice e da guida alla politica idraulica della Dominante per più di due secoli, fino a Settecento inoltrato. Dei diversi progetti che si succedettero nel tempo si dette tuttavia solo una parziale realizzazione, sostanzialmente limitata al Sile e al Marzenego, con le due grandi opere del canale Osellino di Mestre di inizio Cinquecento e del taglio del Sile da Portegrandi alla Piave Vecchia a fine Seicento.

 

L’idea di una regimazione generale e coordinata dei corsi d’acqua

 

L’idea di una regimazione generale e coordinata dei corsi d’acqua nella bassa pianura veneziana e trevigiana nasceva dall’osservazione di una stretta interdipendenza tra i loro bacini in un sistema idrografico unico della gronda lagunare.

In estrema sintesi, quando si verificavano piene particolarmente consistenti, anche attraverso il fitto reticolo dei fossi e canali di scolo, con un effetto per così dire a cascata, accadeva che lo Zero tracimasse e si riversasse nel Dese e questo nel Marzenego, “con una continuata allagazione di campagne e strade ed un pernicioso ristagno, con insalubrità dell’aria nelle parti inferiori, per le quali scorre quest’ultimo fiume tanto superiormente che inferiormente a Mestre”, come scriveva il proto Tommaso Scalfurotto, autore nel 1782 di un’efficace descrizione delle dinamiche del sistema idrico locale. L’alluvione si scaricava poi necessariamente, con i suoi trasporti di detriti, nella laguna di Treporti. La violenza della piena poteva essere tale da scavalcare o rompere l’argine lagunare: nelle parole dei Savi alle Acque nel 1724, “le acque che escono dagli alvei interrati, attraversando la campagna della terra di Mestre, cadono nei scoladori non propri ed incapaci, squartando gli arzeri del circondario, onde resta distornata ed inutile l’opera tanto dispendiosa della passata regolazione”.

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