di Mario Tonello
L’incontro è avvenuto il 19 maggio 2015, quando ancora l’iter delle attività per il Contratto non era ancora approdato all’assemblea di Bacino conclusiva di questa parte dei lavori.
L’ing. Franco Schenkel (1949) è a pochissimi giorni dalla pensione.
Lascia l’incarico di responsabile del servizio Opere Idrauliche della Direzione Lavori Pubblici del Comune di Venezia. E’ un momento importante per lui, ma non solo: sta infatti per lasciare il suo ruolo di rappresentante del Comune di Venezia nella Segreteria tecnica del Contratto di Fiume Marzenego.
Inevitabilmente analisi, bilanci, soddisfazioni, rimpianti, speranze.
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MARIO TONELLO: Allora Franco, ultimi giorni?
FRANCO SCHENKEL: Ultimi giorni.
M.: Nostalgie? Inerzie del pensiero sul lavoro?
F.: Avendo cambiato… troppi lavori, le inerzie sono relative. Per cui, rispetto al lavoro, ho ancora un po’ di cose in pedi, tra cui il Contratto di fiume.
M.: Il Contratto di Fiume. Ti spiace interrompere, o non lo interrompi? Continuerai a intervenire nelle attività del Contratto o ti tocca farti sostituire?
F.: Ho rappresentato nel bene e nel male il Comune di Venezia nella vicenda del contratto di fiume finora, anche se c’è stata questa interruzione nella gestione delle questioni che oramai erano arrivate ad un certo punto di maturazione. Questa è una battuta d’arresto che non dipende dal Comune, ma dalla “governance”, chiamiamola così del Consorzio.
M.: A cosa ti riferisci parlando di interruzione, a quest’ultimo periodo di inattività?
F.: Sì, diciamo, da fine novembre 2014 ad adesso non ci si è più attivati per chiudere il contratto di fiume entro i termini che mi auguravo, che peraltro coincidono con il mio “tramonto” burocratico… Questo era uno dei quattro obiettivi che mi ero posto prima della pensione.
M.: Quali sono questi quattro obiettivi?
F.: Uno era il Contratto di fiume, appunto. Uno era l’accordo di programma con il Ministero dello Sviluppo Economico, il primo step che consisteva nell’approvazione dei progetti preliminari per il risanamento di Porto Marghera. Il terzo – che si sovrappone al secondo – era la soluzione dei problemi di criticità idraulica della macroisola dei petroli – che andava sott’acqua – in rapporto al marginamento fatto dal Consorzio Venezia Nuova per il Magistrato alle Acque. E il quarto è il Piano delle Acque.
M.: Per il Piano delle Acque a che punto siamo nell’iter generale?
F.: E’ stata firmata la convenzione tra il Comune, il Consorzio di Bonifica Acque Risorgive e Veritas per aggiornare il vecchio Piano delle Acque del 2005, che oramai è decisamente superato non solo perché sono passati 10 anni, ma anche proprio come impostazione.
M.: Coinvolge anche le fognature, ecc.?
F.: E’ a 3D, come si dice. Considera la rete di bonifica, compresi i fiumi, la rete idraulica secondaria, e la fognatura della terraferma del Comune all’interno di un modello di previsione del comportamento idraulico del territorio, cioè i possibili allagamenti in rapporto alle precipitazioni e ai loro tempi di ritorno.
M.: Il Piano delle Acque è quindi un grosso impegno politico – in senso generale. Intendo politico in quanto attiene la gestione della città, e in effetti adeguare il sistema delle acque alle tecnologie e ai problemi moderni è un compito molto rilevante, e non è certo una cosa semplice.
F.: No, non è banale, anche se – diciamo – è misconosciuto. Il problema della gestione delle acque nella terraferma del Comune di Venezia, si sta affermando – piano piano – sempre di più nella nostra comunità. Il Piano delle Acque è sostanzialmente un’analisi di quali sono i punti di criticità nel tempo, con l’assetto attuale. Dopo la sua elaborazione e approvazione, interverranno altri momenti e altri soggetti, con azioni di mitigazione del rischio o di messa in sicurezza.
M.: Senti, si può dare un giudizio su queste linee strategiche cui il Piano dà attuazione, o sono solo elementi di carattere tecnico, non particolarmente suscettibili di alternative, diciamo?
F.: Noi due siamo convinti da sempre che la tecnica non è asettica e autonoma, come la politica non può prescindere da valutazioni tecniche. Da questo punto di vista la gestione delle acque è pari alla gestione del suolo, delle attività economiche, dell’equilibrio ambientale e sociale: ovviamente sono cose assolutamente compenetrate e inscindibili.
M.: Quali sono stati o sono ancora nel dibattito preparatorio i punti più controversi?
F.: Tieni presente che il Piano delle Acque dev’essere ancora elaborato: sul piano amministrativo intanto, è stata firmata la Convenzione con il Consorzio e Veritas, ed è stata anche pagata una prima tranche di finanziamento. D’altro lato si tratta di vedere, adesso che il PAT è approvato e si sta passando alla sua applicazione con i Piani di Intervento, se il Piano delle Acque diventa un riferimento per edificazione, vincoli di inedificabiltà, etc.. In altre parole determina l’uso del territorio da un punto di vista diverso dalla semplice valorizzazione immobiliare.
M.: Volevo chiedere… Il piano delle acque, da come mi sembra di aver capito, rimane comunque un elemento tecnico, benché sovrastato dalla scelte politiche. Il Contratto però non è uno strumento tecnico.
F.: Il Contratto è uno strumento volontario di governo, che parte da strumenti di conoscenza, che spesso mancano, e da questo punto di vista ha il suo lato tecnico conoscitivo; può individuare delle risposte sulla base di un saper fare e un saper guardare.
M.: In che momento le determinazioni del Contratto entrano in gioco nel Piano delle acque?
F.: Ma il Piano è un elemento di previsione, sulla base di una conoscenza il più possibile approfondita delle rete idrica di un territorio. Il piano non è un elemento di pianificazione, malgrado il nome.
M.: Torniamo al Contratto di fiume, che sta al centro del nostro interesse oggi. Tu hai rappresentato il Comune come uno degli Enti che partecipano alla preparazione per adesso e alla gestione poi del Contratto. Non vedi una grande sproporzione tra gli attori di questa vicenda? da una parte hai la Regione, il Consorzio e il Comune, che sono pezzi da 90. I cittadini sono pezzi da 1 o da 2.
F.: I singoli cittadini.
M.: Sì ma anche le associazioni, i comitati perché non sono un’unità, non hanno una struttura nel loro insieme; ma tuttavia sono portatori di esigenze dirette e reali, e portatori anche di conoscenze che vengono un po’ dimenticate o trascurate perché spesso sono in scala minore. Su questo piano, il Comune che ruolo si è voluto dare?
F.: Il Contratto di fiume ha in sé un limite per la partecipazione piena di un’amministrazione, perché non ha un pieno riconoscimento giuridico, e non è cristallizzato all’interno di una forma amministrativa definita. E’ previsto da una normativa europea, che non è stata ancora recepita in una legge europea, non ha di per sé una procedura consolidata. Detto questo, una amministrazione aderisce o non aderisce a questo tipo di processo di governo del territorio, tra l’altro con uno specifico taglio metodologico. Si dicono tante cose (ma se ne fanno poche…) sulla partecipazione, sulla programmazione partecipata, ecc., ma spesso non si vede come questi principi influiscono concretamente all’interno dei processi amministrativi reali. Ora, di fronte a questi aspetti, io e tanti altri insieme con me, sono convinto che il processo amministrativo ha bisogno di un confronto, o meglio di una verifica continua con gli amministrati, i cittadini.
All’interno di questo il fatto di guardare l’acqua sotto forma di fiume o di bacino, di complesso di reti, non in un rapporto individuale, come una minaccia o come una risorsa, ma in modo sistematico, questo aiuta dal punto di vista dei risultati. Che su una rete idraulica possono essere molti e rilevanti, perché non è solo il rischio idraulico…
M.: Stai dicendo che è necessaria una visione di insieme, una visione integrata, sistemica di tutti i problemi dell’acqua e degli altri settori eventualmente. E la partecipazione dei cittadini, per quello che può contare ovviamente, perché non è che ognuno sappia tutto, naturalmente, conta in che modo? Conta per sorvegliare, conta perifericamente, conta nel merito…?
F.: Può contare nel merito. Cioè se si riesce ad allineare una esigenza diretta, che non è semplicemente e soltanto individuale, che non é semplicemente lo scantinato che si allaga, e non è semplicemente soltanto il campo che dev’essere irrigato, e non è semplicemente soltanto il ciclista cui piace vedere l’argine da vicino: questi possono essere bisogni primari, che se non vengono declinati vanno in conflitto con altri cento bisogni primari diversi. E allora cosa vuoi fare? Devi trovare uno strumento di governo, devi trovare un momento in cui devi scegliere e a fare qualcosa che vada bene più o meno a tutti.
M.: Ma il fatto è che in realtà, i “tutti” non sono tutti uguali.
F.: …che vada bene più o meno a tutti, più o meno.
M.: Per esempio, le ultime elezioni del Consorzio hanno messo in luce un problema che ormai è diventato maturo: quello della rappresentanza negli organi del Consorzio di tutti gli utenti, della sproporzione rappresentativa, che non tiene conto dei nuovi soggetti della società che hanno rapporti col fiume. Questa rappresentanza dovrebbe cambiare. Ma finché il Consorzio trattiene in sé questa forma che è molto antica, veneranda per l’età ma non tanto gloriosa, rischia di creare conflitti, invece di appianarli. C’è una volontà o un modo per convogliare le azioni del Consorzio, della Regione, del Comune, degli enti di questo livello in una elaborazione collettiva del Contratto di Fiume, come c’è per esempio in Francia e in altri paesi? c’è una convergenza, è desiderato questo obbiettivo dalla burocrazia del potere, diciamo così, più ancora che dai politici, dal sindaco o dall’assessore? Qual è la percezione che hai avuto tu, nella tua lunga esperienza.?
F.: Ci può essere se si mettono in campo delle forze, delle energie. Una convinzione da parte dei ‘grigi burocrati’ di tutti questi enti, nel fare qualcosa di più, perché questo è qualcosa di più della procedura standard, questo può avvenire solo in seguito ad una spinta da fuori, esterna al proprio ambito di competenza, da un interesse personale, anche di cittadini che lavorano in Comune, ad esempio, ma che non si comportano, o non hanno la testa, solo da ‘grigio burocrate’.
Su questo coinvolgimento si può giocare abbastanza, perché dopo diventa un bisogno sociale espresso. Quando accade questo, anche il ‘grigio burocrate’ può evolvere verso una figura tecnica o un pezzo di amministrazione che si attiva.
M.: Ti faccio una domanda un po’ così… Sei ottimista? o la vedi ancora dura e lunga?
F.: Fino a novembre (2014), al di là di tutte le polemiche, gli orticelli, i narcisi che si scontravano…, si è arrivati a vedere una fine dignitosa a questo primo tentativo, su cui più o meno tutti convergevano. Dopo è calato come una mazzata un elemento “istituzionale”, le elezioni del Consorzio, che di per sé, se le guardi da vicino, o anche da distante, non sono la presa del Palazzo d’Inverno, del potere assoluto megagalattico, ma hanno provocato scontri ferocissimi e sei mesi di paralisi del processo di costruzione del Contratto di Fiume. Perciò mentre prima ero sufficientemente ottimista, adesso se si ferma il motore è un grosso guaio: il motore era il Consorzio di Bonifica, per lo “statuto” del Contratto di Fiume Marzenego, perché ha certamente le competenze e la conoscenza del territorio, perché ha un ruolo sovracomunale, ha un rapporto diretto con la Regione, anzi è di fatto una articolazione amministrativa della Regione. Ma per ora questo motore si è fermato.
M.: Però se per una buona metà del lavoro, o anche di più, aveva spazio l’ottimismo, si era lavorato bene, se un soggetto che deve gestire l’apertura alla collaborazione, al confronto con altre persone, altri Enti, altre situazioni, si trova un conflitto interno che è paralizzante, l’ottimismo comincia ad essere molto… utopico. O no?
F.: Beh, un episodio non fa testo in assoluto. Io personalmente credo che, insistendo un po’, adesso ci si può rimettere in strada, al di là dei 36.000 euro di contributo della Regione, e qualcosa si può chiudere.
M.: Per esempio convocare l’assemblea di bacino, quella conclusiva di questa fase. Non mi sembra il caso di convocarla a metà agosto, per dire.
F.: Io avevo posto come termine l’inizio della mia pensione, per chiudere. Che poi coincide con lo stesso termine del Bando regionale, e anche con le elezioni regionali e comunali, guardando bene. Sarebbe stato preceduto dalle elezioni del Consorzio. Essere stati bloccati adesso, è un brutto segnale: significa che la proposta è debole, e viene trattata come tale.
M.: Adesso tu, se si riattiva un po’ questo processo, che prospettiva hai sul Contratto?
F.: Io vado in pensione il 1° luglio e dalla fine maggio sono in ferie che avanzo da anni, e su questo impegno peraltro io sono disponibile anche dopo.
M.: Insomma c’è grande confusione sotto il cielo, ma non potremmo dire, come Mao, che la situazione è eccellente.
F.: No, possiamo dire solo che c’è grande confusione sotto il cielo.
M.: La fase attiva di questo processo, le discussioni, le assemblee, i tavoli di lavoro, come ti sono sembrati? La partecipazione del territorio…
F.: Nel tempo c’è stata una… “distillazione di personale” del Contratto di fiume, mettiamola così, guardando le presenze. Dopo avrei preferito che ci fosse una platea più ampia. Però è stato ugualmente positivo.
M.: Ci sono state a tua conoscenza manifestazioni di insofferenza, di snobbatura di queste proposte, di “ah, mi me ne frego, le xé putanae”, ne hai sentite, o sentito dire?
F.: No, perché non si è arrivati alla definizione ultima del Contratto. Perlomeno a livello di segreteria tecnica abbiamo chiuso su una linea di priorità con alcune proposte che hanno il pregio di essere abbastanza concrete. Però, non essendo arrivati al momento di decidere su queste proposte, non trovi neanche quello che le rifiuta in toto genericamente. È questo ritardo quello che dispiace. Ma abbiamo una storia ancora davanti. Ho sempre un mio obiettivo: il Parco Fluviale urbano del Marzenego tra via Olimpia e Zelarino.
M.: Franco, stai aprendo un’altra voragine, che merita un’attenzione particolare. Ce ne dici di parlarne quando, tornato dalla Grecia, sarai preda di una profonda nostalgia del lavoro?
F.: Ah, no ghe xé pericolo!…
M.: A presto allora.
F.: Ciao. A presto.
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