Intervista a Aldo Scatamburlo

Andrea Darisi intervista Aldo Scatamburlo della Cipressina

La breve scheda di lettura che segue si riferisce al volume di Andrea Darisi, Cipressina: storia di un quartiere di Mestre nel secondo dopoguerra, Tipografia Baldo, 2005, da cui è stratta l’intervista a Aldo Scatamburlo che riportiamo in forma ridotta.
Il libro di Andrea Darisi, Cipressina: storia di un quartiere di Mestre nel secondo dopoguerra, presenta la storia della Cipressina, una zona della terraferma veneziana posta a ridosso del fiume Marzenego. Il nome deriva da quello di una villa costruita negli anni Trenta al posto di un boschetto di pioppi cipressini, anche se viene usato per indicare la località solo dalla metà degli anni Cinquanta;  la parrocchia nacque nel 1955, prima di quella data gli unici due centri di ritrovo erano l’osteria da «Baldan» e l’antico mulino Gaggian, sul Marzenego, oggi irriconoscibile.
Il libro, pubblicato con la collaborazione dell’ex quartiere 11 e dell’associazione I Sette Nani, è una rielaborazione della tesi di laurea in Storia discussa nel 2000 con Piero Brunello e si si basa su testimonianze orali. Attraverso le parole di Aldo Scantamburlo, dei signori Foffano, della famiglia Baldan, di Antonio Dittura, Elio Melega, Giorgio Menetto, Vasco Trinciarelli, Guerrino Carpenedo, Emilio Franzolin viene raccontato il rapporto col fiume e i suoi fossati, fonti di risorse, ma anche   di ansie per i pericoli di allagamento, vengono ricordati i luoghi d’incontro, i giochi dei bambini, i problemi con l’acqua, i lavori agricoli di un borgo di campagna negli anni 40-50 del Novecento. E’ poi descritta la speculazione urbanistica e l’abusivismo degli anni 60 che hanno condotto in questo luogo, compreso fra due passaggi a livello e la tangenziale di Mestre, persone provenienti dall’entroterra, da Venezia, da Chioggia, da Pellestrina. Una raccolta di foto precedenti a questo sviluppo selvaggio permette di capire come sia stato stravolto il paesaggio e si siano voltate le spalle al fiume. Attraverso le interviste vengono ricostruite le reti sociali e politiche che si sono intrecciate in questo nuovo complesso quartiere, i rapporti tra veneziani e campagnoli e le loro diverse abitudini.
Giovanna Lazzarin

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INTERVISTA AD ALDO SCATAMBURLO

(di Andrea Darisi)

 

La famiglia Scatamburlo è sicuramente una delle famiglie che vive alla Cipressina dai tempi più remoti, e le testimonianze che ho raccolto dimostrano la presenza di questo nucleo già dalla metà dell’Ottocento. Aldo Scatamburlo, classe ’29, faceva parte di una famiglia molto numerosa che abitava in una casa situata alla fine di via del Gazzato, e che oggi si trova intrappolata tra due rotonde stradali e uno svincolo che fanno da raccordo tra la tangenziale di Mestre e Zelarino. Di questa casa ne esiste ancora una parte, mentre è ancora in piedi il vecchio “barco” dove si tenevano gli animali ed il fieno. [… ]

… mi posso riallacciare ad un fatto che fluttua tra la storia e la leggenda, e cioè il motivo per cui gli Scatamburlo sono detti “Prussia”. Si dice che un avo di Aldo, forse il padre o il nonno di Aco e Vito, fosse andato in Prussia a combattere e che da li non sia più tornato: da quel momento “Prussia” fu il soprannome della famiglia Scatamburlo. [ … ]

L’attività di questa famiglia era la stessa, facevano tutti i “carrioti”: trasportavano merci con carri e cavalli in tutta la zona, da Mestre a Favaro, da Carpenedo a Trivignano, e così via. Ma le imprese ovviamente erano due, quella di Vito e del figlio Aurelio era molto grande e possedeva una quarantina di cavalli, quella di Aco e i suoi figli era più piccola, circa sei cavalli. [Vito e Aco erano rispettivamente zio e nonno di Aldo]

I Prussia di via del Gazzato erano una famiglia molto numerosa, circa quaranta persone, [… ]; l’abitazione era una tipica casa di contadini divisa in tante parti, quante erano le famiglie. Aldo Scatamburlo ed i suoi fratelli, dieci in tutto, sono cresciuti lavorando nella piccola impresa familiare in una Cipressina molto diversa quella di oggi.

Il signor Aldo Scatamburlo è stato intervistato il 12 aprile 2000.

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Andrea: Fino a quando ha lavorato come carriota?

Scatamburlo:  Ho svolto questa attività fino al 1960, quando ho cominciato a lavorare alla Montecatini di Marghera. Mi ero sposato da qualche anno, la famiglia si stava allargando sempre più, così lavorare in fabbrica dava maggiori sicurezze economiche. Ma l’attività è andata avanti fino cinque anni fa attraverso uno dei miei fratelli.

A: Avete vissuto sempre tutti insieme lei ed i suoi fratelli?

S: No. Nei 1954 mi sono costruito la casa nel campo di fronte a quella vecchia, e cosi tra fratelli ci siamo divisi. Adesso vivo dove c’era la vecchia casa, con a fianco mio cugino e uno dei miei fratelli, i miei nipoti vivono invece dove avevo costruito alla metà degli anni ’50. Ma ora ci divide il raccordo tra la tangenziale e la rotonda che porta a Zelarino e all’Auchan.

A: Il paesaggio era molto diverso da quello di oggi, cosa c’era qui cinquanta anni fa?

S: Campi, campi e campi. Via del Gazzato arrivava fino a qui, era di sassi e con fossi ed alberi ai lati. I terreni alla destra di via del. Gazzato, andando verso la Castellana, erano dei Prussia. Circa 6.000 mq era il mio terreno. Dal nostro terreno fino alla ferrovia c’era la terra lavorata a mezzadria dai Pistolato, detti “Bijetto”, mentre i proprietari erano i Signori Paccagnella che nel 1948 vendettero ai fratelli Monti di Maserada. Lungo la Castellana, da via del Gazzato a via Magnasco, viveva l’agricoltore Emilio Franzolin, ma il proprietario era il notaio Giacomo Roncalli; più avanti lungo la Castellana c’era, e c’è ancora, la villa “La Cipressina” di proprietà del prof. Volo. Fu costruita tra gli anni ’20 e gli anni ’30, e fu chiamata cosi perché tra il confine di questa proprietà e quella lavorata dai Bijetto c’era un boschetto di pioppi cipressina. Da qui deriva probabilmente il nome della zonadelimitata tra le due linee ferroviarie, per l’appunto la Cipressina.

Tornando a via del Gazzato, tutto il terreno da qui fino a Mestre era della  famiglia Bellinato. La loro villa era situata tra l’attuale via Olivolo e Villa Elena, che era una piccola proprietà appartenente alla Curia all’interno dei possedimenti Bellinato. [ … ]

Dall’altra parte della strada Castellana era molto importante il ruolo svolto dal mulino Gaggian. Pensa che dove c’è la tangenziale adesso, diciamo da via del Gaggian fino davanti a Villa Elena, c’era un enorme prato dove pascolavano sempre dai quaranta ai cinquanta cavalli.

A: E di Villa Elena cosa mi può dire?

S: Villa Elena l’ho sempre vista, ed ho sempre saputo che era un deposito di armi. Anche se rientravamo nella parrocchia di Zelarino, a volte si andava a messa nella cappella adiacente alla villa, anche se molto piccola. Battesimi e matrimoni erano di norma celebrati nella chiesetta della Paccagnella a Zelarino, ma mio figlio più vecchio l’ha battezzato a Villa Elena Papa Roncalli, quando era ancora patriarca qui a Venezia.

Nel 1962 è stata inaugurata la chiesa di S. Lorenzo Giustiniani, ed è stata fondata la parrocchia. Ma in realtà la chiesa in origine era stata progettata come centro per convegni ecclesiastici. Si trova in via Olivolo, nella vecchia proprietà dei Bellinato.

A: Quali erano i punti di riferimento, intendo dire negozi ed osterie, per voi e gli altri abitanti? Per esempio, è molto famosa la trattoria “da Baldan”, cosa mi può dire a riguardo.

S: Baldan Orfeo è arrivato dopo la guerra, verso gli anni 1951-52, ma prima c’era la vecchissima osteria “da Goea”, gestita da Longo “Gegia”, dalla moglie Adalgisa Favaron “Cisa”, e dal figlio Giacomo. ll boom urbanistico iniziato alla fine degli anni Cinquanta ha portato all’abbattimento del vecchio edificio: l’osteria vecchia era dietro l’attuale osteria, al posto della quale c’era un ampio spiazzo al quale si accedeva attraverso due “passae” (ponti) sugli ampi fossati che costeggiavano la Castellana. Mi ricordo di aver sempre visto un chioschetto per la vendita dei giornali in questo spiazzo, proprio come c’è ancora oggi. Dietro l’osteria, scendendo di alcuni gradini, c’era il gioco delle bocce e della “borea”, e un pergolato di viti sotto il quale c’erano tavoli e sedie. Davanti all’osteria, ma dall’altra parte della Castellana, c’era una fontana di ghisa a getto continuo; sotto aveva una vaschetta rotonda nella quale facevamo bere i cavalli dopo aver tappato con la mano il buco sul fondo.

A: Non avevate l’acqua a casa?

S: Si, avevamo un pozzo, ma l’acqua era poca e la famiglia numerosa. Così si andava con i cavalli a prendere l’acqua a questa fontana o a quella in Borgo Pezzana. Due erano le cose necessarie: il fieno e l’acqua per i cavalli. Per l’acqua facevamo così, mentre per il fieno avevamo il nostro campetto, nel quale tenevamo anche delle pannocchie e un po’ di viti. Tenevamo anche un maialino per l’inverno, qualche gallina e dei conigli.

A: E tornando a parlare dell’osteria?

5: Baldan e prima ancora i Goea sono stati molto importanti per la mia famiglia e per la nostra attività: l’osteria era il nostro recapito per chi volesse usufruire del nostro lavoro. Mi ricordo ancora delle persone che arrivavano a casa nostra in bici lungo via del Gazzato urlando “Prussia, Prussia i va in xerca de ti!” intendendo dire che c’era lavoro per noi. Ce li mandavano dall’osteria. Poi, quando è arrivato il telefono, Baldan ci faceva anche da recapito telefonico.

A: Ma cosa trasportavate?

S: Soprattutto materiale per l’edilizia, e dopo la guerra tanti “rovinassi” (calcinacci). Ma andavamo a fare anche tanta “masseria”, cioè traslochi veri e propri.

A: Quand’è che avete sostituito i cavalli con i camion?

5: Dopo la guerra, mettendo via qualche soldo siamo riusciti a prendere un Bedford, un Dodge e un Ford. La nostra impresa era però molto più piccola rispetto a quella di mio zio Aurelio, noi lavoravamo praticamente sempre alla giornata, senza contratti o fatture.

A: Dove andavate a fare benzina, c’era un distributore alla Cipressina?

5: l nostri camion andavano a metano, quindi andavamo a fare rifornimento a Mestre. Invece i distributori alla Cipressina sono arrivati tra la fine degli anni ’60 ed i primi anni ’70, uno di fronte alla trattoria “All’Ancora” ed uno vicino alla linea ferroviaria Venezia-Trieste.

A: E dove andavate a fare la spesa?

S: In fianco a Baldan c’è un edificio dove al piano terra c’è una rivendita di vini. Là c’eraun negozio di alimentari dove andavo sin da quando ero bambino insieme a mia mamma. Il padrone era Romano Pistolato, uno dei Bijetto di cui si parlava in precedenza, e dopo la guerra la padrona era una certa Rina Cappelletto. Qui si comprava principalmente il pane, e non si pagava subito ma c’era il libro: annotavano la spesa che facevamo volta per volta, e si pagava a fine mese. Ma se c’era qualche soldo in più andavamo al mercato a Mestre o a Zelarino, perché la roba costa meno. I padroni di questo negozio si sono spostati dall’altra parte della Castellana, all’uscita di via Milesi, ed hanno aperto un nuovo negozio; questo è avvenuto in seguito alla costruzione dei palazzi lungo la Castellana negli anni ’60.

A: Tra la fine degli anni ’50 ed i primi anni ’60 è iniziata la crescita urbanistica della Cipressina. Che cosa si ricorda?

S: Abbiamo detto che i terreni che oggi vanno da via del Gazzato, attraverso via Milesi, via Ciardi, via Veneziano, fino via Magnasco erano della famiglia Roncalli, ma lavorate a mezzadria dai Franzolin. Negli anni ’50 questa terra l’ha comprata prima Volo e poi un certo Polesello, di Zelarino. Questo signore ha venduto la terra in lotti a diversi proprietari, che costruendo hanno fiutato l’affare di fare soldi velocemente. Poiché anch’io ho lavorato come carriota per il signor Polesello, sicuramente tutte queste compravendite e le lottizzazioni in questa zona sono avvenute prima del 1960, anno in cui sono stato assunto alla Montecatini.

A: Cosa trasportavate per il signor Polesello?

S: Abbiamo portato via montagne di terra ed abbiamo riportato montagne di “rovinassi”, ghiaia, ecc. che servivano a rendere il fondo più stabile in vista delle successive costruzioni. Inoltre bisognava rialzare il livello del terreno che in quegli anni era molto basso rispetto alla Castellana da entrambi i lati. Ad esempio mi ricordo che andavamo a prendere la ghiaia sui binari in stazione a Mestre, e la portavamo qui per fare il fondo. Polesello ha costruito solo le prime case in via Magnasco che poi ha venduto a basso prezzo ai primi affittuari.

A: Ed il resto chi l’ha costruito?

S: I fratelli Gamba. Erano tre o quattro, erano chioggiotti, e con la loro impresa hanno aperto un cantiere dopo l’altro trasformando la Cipressina in quella che è oggi. Hanno costruito palazzine fino a quattro piani.

A: Secondo lei perché sono stati costruiti questi tipi di edifici?

S: Vista la gente che è venuta ad abitare, cioè operai, penso che questi appartamenti siano stati costruiti perché erano i più economici. Vennero ad abitare qui soprattutto chioggiotti, buranelli e veneziani che lavoravano a Marghera o al porto; mi ricordo quelli che lavoravano con me e che mi dicevano di impiegarci troppo tempo per arrivare al lavoro. Di sicuro la nascita della Cipressina è stata una soluzione per molti di quelli che avevano questo problema. Molti tra i primi a venire ad abitare qui erano portuali.

A: Questi nuovi abitanti si collocavano in zone ben definite a seconda del luogo di provenienza oppure no?

S: A quanto mi ricordo io no, si mescolavano. Sono sicuro che erano tutti o quasi operai.

A: Si ricorda qualcuna di queste persone?

S: Un certo Cesare Dei Rossi, che viveva vicino al mulino Gaggian, se lo ricordano anche i miei figli. Aveva un “sandalo” sul Marzenego con il quale pescava. Aveva anche dei “bartovèi” (reti per la pesca di frodo) che metteva lungo la riva. Sicuramente non era il solo ad avere una barchetta e a pescare, soprattutto se si pensa a tutti gli isolani che sono venuti a vivere qui.

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