Atti del Convegno – Lazzarin

Maria Giovanna Lazzarin

storiAmestre

Questo testo è pubblicato anche sul sito https://storiamestre.it/category/maria-giovanna-lazzarin/
Seconda parte del Convegno L’acqua è finita

DAL DIRE AL FARE: agricoltura e pratiche per risparmiare l’acqua

Presentazione

 

“Ben servio de fossi de fontane…”.

Premessa

Vi chiederete come mai un’associazione di storici e appassionati di storia si occupi di un tema così legato al presente e al futuro come è quello dell’acqua che viene a mancare. Noi pensiamo che in questo momento storico in cui la realtà è sempre più artificiale e virtuale sia indispensabile l’andare a vedere.

Sorgente del Marzenego Coriolo

Sorgente del Marzenego Coriolo a Resana. Foto di Mario Tonello

Così, andando a vedere il Marzenego, nel 2017 siamo arrivati alle sue sorgenti a Resana e siamo andati a intervistare Tilde Simeoni[1], che in quella zona è arrivata settant’anni fa sposandosi, e ci ha raccontato quanta acqua ci fosse nei campi, nei fossi, nella sorgente, acqua ottima da bere e da usare. Adesso – ci diceva – ce n’è molta, molta meno.

Allora ci aveva colpito vedere fuori dalla sua casa una bella fontana che buttava acqua a getto continuo: la falda era praticamente sotto i piedi.

Pompa continua a casa Perin

Fontana davanti a casa di Tilde Simeoni, 13 marzo 2017. Foto di Giovanna Lazzarin

Siamo tornati a trovare la Tilde due anni dopo e la fontana era stata tolta. “L’acqua è finita” ci ha detto.

Cosa era successo? La prima parte del convegno, questa mattina, ha provato a spiegarlo.

Oggi pomeriggio cerchiamo di capire come ci possiamo muovere per affrontare la realtà dell’acqua che scarseggia.

Questo convegno è inserito in un festival del paesaggio e il paesaggio veneto è un paesaggio d’acque, ma anche storicamente di mancanza d’acqua e di conflitti per l’acqua. Ricordo due esempi.

Lo storico Raffaello Vergani ha studiato a fondo la costruzione della Brentella trevigiana[2], derivata dal Piave a Pederobba per portare l’acqua nell’alta pianura tra il Montello e il fiume Sile, caratterizzata da un suolo ghiaioso, arido, poco fertile. Il canale viene portato a compimento nel 1550, sviluppando l’agricoltura di quell’area, ma nei 100 e più anni in cui il canale e le sue diramazioni vengono costruiti ci sono continui conflitti per l’acqua tra contadini e mugnai, comunità rurali, notabili trevigiani e patrizi veneziani. C’è chi vince e c’è chi perde: tra i maggiori beneficati c’è villa Emo a Fanzolo.

Giacomo Bonan, ricercatore presso l’università di Bologna e socio di storiAmestre, ha studiato il periodo della modernizzazione e industrializzazione del Piave nel primo ventennio del Novecento con le richieste di derivazioni per le centrali idroelettriche[3]. In questo caso il conflitto opponeva gli agricoltori, rappresentati dal consorzio della Brentella, e la SADE e porterà a un lungo contenzioso che verrà sanato attivando le derivazioni promesse per l’idroelettrico e aprendo per il consorzio il canale della Vittoria a Nervesa, cioè togliendo ulteriore acqua dal Piave. Nella prima metà degli anni Venti ci sono continue denunce di utenti dei fiumi di risorgiva – le cui acque sono in parte debitrici dal Piave – in primis di mugnai e pescatori, ma anche piccoli agricoltori, per mancanza d’acqua, abbassamento delle falde freatiche, avanzamento del cuneo salino. Saranno loro a perdere.

E oggi? Siamo in una fase di trasformazione legislativa oltre che climatica. La direttiva europea sull’acqua è del 2000 [https://ec.europa.eu/environment/pubs/pdf/factsheets/wfd/it.pdf] e ha dato delle indicazioni precise per migliorare la quantità e la qualità dell’acqua dei fiumi. La prima domanda da farsi è: come mai l’applicazione nella nostra regione è stata così lenta?

 

Le relazioni

Abbiamo chiesto a Franco Schenkel che è stato Responsabile del servizio Opere Idrauliche del Comune di Venezia, quindi conosce bene le problematiche della risorsa acqua, di aiutarci a capire quali interessi contrastanti sull’uso dell’acqua frenano l’applicazione delle direttive europee e se e come si può avviare un rispetto reale della direttiva europea.

Quando abbiamo pensato al convegno molti erano i problemi di cui discutevamo, per fare un solo esempio l’inquinamento e avvelenamento dell’acqua che coinvolge interi territori del Veneto.

Volendo tenere come sfondo del discorso il riscaldamento globale abbiamo deciso di approfondirne uno, cioè il necessario cambiamento dell’agricoltura.

Lo storico dell’agricoltura Tiziano Tempesta ha fatto un’analisi di lungo periodo sui cambiamenti dell’agricoltura veneta[4] dai sistemi agricoli tradizionali in uso fino agli anni Cinquanta del Novecento ai sistemi moderni che hanno di molto aumentato produzione e redditività diminuendo l’impiego di manodopera; le rese per ettaro di mais e frumento sono più che raddoppiate, ma hanno anche inquinato terra e acqua con i trattamenti chimici, ridotto la capacità di trattenere e depurare le acque, aumentato il bisogno d’acqua per l’irrigazione.

I dati ISPRA (istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale del Ministero dell’ambiente) del 2014-15[5] misurano per l’Italia un’impronta idrica di 70 miliardi di metri cubi all’anno. L’agricoltura è il settore produttivo più assetato, con l’85% del consumo, di cui il 75% destinato alle culture alimentari e al mangime per animali, 10% al pascolo. Resta poi un 8% per la produzione industriale e un 7% per uso domestico.

Il mais in particolare si trova al centro del dibattito internazionale sullo spreco di acqua come pianta idrovora; è appena uscito un Atlante geopolitico dell’acqua[6] in cui, tra l’altro, si spiega che per una fettina di carne di 125 gr. occorrono 2311 litri d’acqua. Ma il mais da granella nel Veneto è pari a circa 234.000 ettari, ovvero circa il 30% della superficie agricola utilizzata (SAU) e alimenta oltre all’allevamento tutta la filiera di trasformazione.

Gli agricoltori hanno cercato di fronteggiare la mancanza d’acqua passando gradualmente dall’irrigazione a scorrimento (che richiedeva circa 2 litri al secondo per ettaro) all’irrigazione a pioggia e a goccia (che ne richiede 0,6 litri al secondo e anche meno utilizzando programmi informatici). Ma con i cambiamenti climatici che ci attendono l’agricoltura potrà ancora disporre di tutta quest’acqua? Quali cambiamenti saranno necessari nei metodi e nelle colture?

Lo abbiamo chiesto a Giustino Mezzalira, direttore della Sezione Ricerca e Sperimentazione di Veneto Agricoltura, che parlerà di Mitigazione climatica, innovazione e sostenibilità nella produzione agricola.

Di fronte alle accuse mosse all’agricoltura, abbiamo voluto anche ascoltare la voce di chi la terra la lavora e vive di quello, perché ci ricordiamo ciò che ci è stato detto in un incontro: “Purtroppo gli ambientalisti abitano tutti in città. È per questo che io ho detto, e lo dico spesso: ma perché non vi mettete in 4 o 5, e facciamo un’azienda, la facciamo assieme? prendetevi qualche ettaro in affitto, allora si capiscono i problemi, allora c’è un ponte ideale”… Chi parlava era Luca Lazzaro, del direttivo CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) della città metropolitana, laureato in scienze agrarie, con un dottorato di ricerca su inquinamento delle acque di falda da reflui zootecnici e su ecotossicologia.

Il gruppo di ricerca di storiAmestre l’ha incontrato nelle riunioni per il contratto di fiume Marzenego e ci è subito piaciuto per la competenza e concretezza; nel sito ilfiumemarzenego.it c’è una sua intervista sull’uso dei fitofarmaci[7].

Gli abbiamo chiesto di portare il suo punto di vista al convegno e ci ha dato un titolo che la dice lunga: L’irrigazione non è un capriccio.

Quando abbiamo iniziato a interessarci alla crisi delle risorgive e dei fiumi di risorgiva abbiamo preso tra le mani i dati dei due censimenti fatti dal consorzio di bonifica Pedemontana Brenta e coordinati dal direttore Umberto Niceforo:

– quello del 1997 sulle macrorisorgive consorziali pone l’inizio della scomparsa di queste risorgive già negli anni Sessanta e Settanta e individua tra le cause principali l’escavazione delle ghiaie e il conseguente abbassamento dell’alveo del Brenta;

– quello del 2002 sulle microrisorgive gestite da privati e aziende, curato da Sergio Varini, di cui ci ha colpito l’affermazione secondo cui ormai non c’è più memoria che quei territori fossero ricchi d’acqua, salvo nella toponomastica: fontaneo, fontanon, busa, bearara, bojo, bojeto, via delle fontane, via delle sorgenti. Tant’è che Varini per il censimento ha intervistato 500 anziani, ultima memoria dei luoghi e propone nella sua relazione di avviare una ricerca sistematica sulle risorgive scomparse, perché solo in questo modo si potrà ricreare negli abitanti una sensibilità verso il valore e la valorizzazione di questo paesaggio, che nel passato è stato inteso spesso solo come luogo di malaria.

Ci siamo chiesti come fare a salvare e proteggere questo patrimonio se si è in pochi, con poche forze, con scarsa sensibilità collettiva. Perciò abbiamo pensato di chiudere il convegno dando spazio a esempi di buone pratiche e per questo abbiamo scelto di presentare il progetto LIFE-risorgive di Bressanvido[8], partito in un piccolo comune, con un piccolo gruppo iniziale, che ha saputo mettere in rete il comune, il consorzio Pedemontana Brenta, Veneto agricoltura, aziende private come Aquaprogram anche per la passione e la competenza di persone quali Giustino Mezzalira.

Pensiamo che sia una proposta da conoscere e disseminare e abbiamo chiesto a Stefano Salviati, biologo, ricercatore presso Aquaprogram, come questo progetto abbia potuto vincere un bando europeo difficile e prestigioso, trovando in questo modo le risorse per ristabilire e consolidare la rete di risorgive, rogge e canali del territorio di Bressanvido

Bresaio ben servio

de fossi de fontane

e de vece carampane.

 

Risorgive di Bressanvido

Le risorgive di Bressanvido. Immagine tratta da https://www.facebook.com/liferisorgive/photos/a.319660575135520/730358830732357


 

[1]          La trascrizione dell’intervista a Matilde Simeoni e Mario Perin è inserita nel sito ilfiumemarzenego.it [https://www.ilfiumemarzenego.it/intervista-a-matilde-simeoni-e-mario-perin-1/].

[2]          Raffaello Vergani, Brentella. Problemi d’acque nell’alta pianura trevigiana dei secoli XV e XVI, Fondazione Benetton Studi Ricerche-Canova, Treviso 2001.

[3]          Giacomo Bonan ha presentato la sua ricerca nell’incontro: Per una storia dei conflitti sugli usi delle acque. L’industrializzazione del Piave. Territorio, ambiente, conflitti, organizzato il 25 settembre 2019 da storiAmestre e Centro di documentazione sulla città contemporanea-Zelarino. https://storiamestre.it/2019/09/per-una-storia-dei-conflitti-sugli-usi-delle-acque/

[4]          Tiziano Tempesta, I cambiamenti dell’agricoltura veneta. Un’analisi di lungo periodo, intervento al convegno degli agrotecnici di Treviso del 25 febbraio 2019, ora disponibile online https://www.facebook.com/trevisoagrotecnici/videos/568332520296790/

[5]          “Annuario dei dati ambientali”, edizione 2014-15, a cura dell’ISPRA (cap. 5: Qualità delle acque interne, pp. 4-6); si veda anche: http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/stato-dellambiente/annuario-dei-dati-ambientali-edizione-2014-2015.

[6]          Emanuele Bompan, Federica Fragapane, Marirosa Iannelli, Atlante geopolico dell’acqua. Water grabbing, diritti, sicurezza alimentare ed energia, Hoepli, Milano 2019.

[7]          Intervista di Mario Tonello (con la collaborazione di Luisa Colio) a Luca Lazzaro, nel sito ilfiumemarzenego.it https://www.ilfiumemarzenego.it/intervista-a-luca-lazzaro/

[8]          Per maggiori informazioni si veda il sito liferisorgive.it.

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