Franco Schenkel
già Responsabile del servizio Opere Idrauliche del Comune di Venezia
DAL DIRE AL FARE: Linee di governo delle acque e problemi di attuazione.
[Essendo l’intervento non ancora pervenuto, ne pubblichiamo l’abstract già presente nella locandina]
Sono passati quasi vent’anni dalla Direttiva Quadro “Acque” 2000/60/CE del 23 ottobre 2000, che ha avviato in tutta l’Unione Europea l’evoluzione delle normative e della pianificazione sulla tutela e l’uso delle acque, superficiali, sotterranee, di transizione e costiere.
Nel frattempo abbiamo assistito a fenomeni meteorologici estremi (alluvioni e siccità) sempre più frequenti tanto da far diventare generale una acquisizione di coscienza di trovarci in una emergenza climatica, annunciata da tempo in ambito scientifico (come nei periodici Rapporti IPCC), ma che trova difficoltà a generare accordi e provvedimenti intergovernativi per superarla o, almeno, mitigarla, come hanno dimostrato le recenti Conferenze sul clima delle Nazioni Unite (COP).
L’emergenza non aiuta ad agire per conseguire un “governo” sereno ed equilibrato, se mai è possibile, ma può dare la spinta decisiva per cambiare, anche sul piano culturale.
Il complesso di leggi (a partire dal Dlgs 152/2006), di decreti e strumenti di pianificazione (tra tutti i Piani di Gestione dei Distretti Idrografici) ispirato dalla Direttiva Acque e dai suoi obiettivi generali, compongono le linee di “governo” delle acque. Ma non si tratta di un insieme statico e immutabile nel tempo, che si amplia in modo lineare per successive acquisizioni di conoscenze e ottimizzazione degli strumenti di intervento. Le contraddizioni e i conflitti alimentati dagli interessi, che l’utilizzo delle acque ha fatto sorgere da sempre, non sono assenti nemmeno negli ultimi anni, dopo un consistente ritardo nell’attuazione in Italia di quanto era programmato dalla Direttiva comunitaria.
Quando la Direttiva richiama uno stato naturale da difendere o da ritrovare per determinare i livelli qualitativi dei corpi idrici e le metodologie per definirli, è inevitabile lo scontro con le attività antropiche che utilizzano le acque, modificando lo stato naturale.
Così si assiste alla battaglia sulle derivazioni dai corpi idrici, irrigue, idroelettriche o per altri fini, oppure alla contrattazione sulle concentrazioni di inquinanti ammissibili, oppure, ancora, ai confronti sulle modificazioni morfologiche dei corpi idrici superficiali in rapporto, ad esempio, al rischio idraulico per le aree urbanizzate.
Guardando ai rischi che le risorgive e i fiumi di risorgiva stanno correndo (abbassamento delle falde, scomparsa dei fontanili,…) dobbiamo considerare quello che avviene ai corpi idrici a monte dell’alta pianura nel bacino del Piave. Ad una “storica” e sistematica derivazione per alimentare i grandi impianti idroelettrici che ha segnato lo sviluppo industriale del Veneto nel XX secolo, si assiste ad una nuova “corsa all’oro blu” su ogni fiume o torrente montano per ottenere concessioni di piccoli impianti idroelettrici, favoriti dal sistema di incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Lo scontro sulla sostenibilità della stessa politica energetica sulle fonti di energia rinnovabile, comunitaria e nazionale, è in corso e ci interessa da vicino.
Analogamente, l’evoluzione per la gestione dei corpi idrici dal concetto di Minimo Deflusso Vitale a Deflusso Ecologico, da parametri di natura quantitativi e esclusivamente idrologici alla considerazione dei molteplici fattori che compongono il migliore assetto ecologico dei corpi idrici e dei comparti ambientali che sono da essi sostenuti, deve essere ancora conclusa e certamente sarà oggetto di confronto in ambito scientifico e amministrativo, oltre che di espressione degli interessi in campo.
Le manifestazioni dell’emergenza climatica ci aiuteranno a decidere o, perlomeno, a capire.
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