Il paesaggio odierno del territorio attraversato dal Marzenego è recente, frutto di altrettanto recenti fenomeni e processi: l’avvento della moderna agricoltura industrializzata, l’opera delle bonifiche, l’urbanizzazione diffusa delle campagne. Trasformazioni profonde, che hanno portato alla dissoluzione di un precedente paesaggio, la cui lunga durata può essere datata in almeno mezzo millennio di esistenza, essendo maturato nei suoi tratti tipici nel XV-XVI secolo e scomparso a Novecento inoltrato, e dalle forme radicalmente diverse.
Dalla sorgente alla foce, lungo l’asta fluviale si succedevanotre distinte unità di paesaggio.Nella fascia delle risorgive, ricca d’acqua affiorante in superficie, l’ambiente umido e la natura dei suoli consentivano una vegetazione di boschi e praterie, concentrati in particolare in luoghi contermini ai fiumi, ad esempio in Contrà del Marzenego a Resana e al Marzenego a Piombino. Parte di questi terreni, la più bassa e impermeabile, era soggetta a ristagno e acquitrinosa: nel 1605 il paludo comunale di Resana misurava ben settanta ettari, e a palude erano ridotti anche circa 29 ettari lungo il Draganziolo a Piombino. Su questi fondi si potevano praticare esclusivamente la raccolta della legna e delle canne palustri e il pascolo.
Il corso medio del fiume attraversava invece, da Trebaseleghe fino a Mestre, una campagna quasi interamente antropizzata e nella quale si praticava un sistema di policoltura promiscua. Qui il paesaggio assumeva la forma della piantata, secondo uno schema diffuso un po’ovunque in ambiente veneto. Il campo era percorsoda un capo all’altro da filari di viti appoggiate ad alberi vivi; negli spazi tra i filari si coltivavano cereali o legumi; siepi vive alberate facevano spesso da confine ai terreni. Le superfici a prato e pascolo erano decisamente ridotte rispetto ai seminativi, e adibite a dote e scorta dei seminativi. Si distingueva una sottile fascia di territorio su entrambe le sponde del fiume, un territorio verde golenale conservatosi laddove le frequenti invasioni delle acque sconsigliavano la pratica delle coltivazioni.
L’economia di queste campagne si basava dunque su un’agricoltura di autoconsumo, che mirava all’autosufficienza dei coltivatori e contemporaneamente alla produzione di surplus cerealicoli e vinicoli destinati ai mercati cittadini, modellata su assetti produttivi fondati sulla piccola e media azienda poderale contadina, sia diretto coltivatrice che di affittuari e mezzadri dipendenti da una diffusa e robusta proprietà urbana. Visto a volo d’uccello, questo arabesco policromo della piantata, da includere senz’altro tra i beaupaysages italiani, ci si sarebbe mostrato con le parvenze di un’ininterrotta “foresta rada”.
Superata Mestre, il paesaggio mutava un’altra volta e rapidamente aspetto, addentrandosi il Marzenego-Osellino in un ambiente, come da suggestiva definizione di Maria Grazia Biscaro, dalle “fisionomie anfibie e boschive”. L’area di gronda percorsa dal nostro e dagli altri fiumi locali, Dese e Zero, al punto di incontro tra acque dolci e salate, era un territorio semisommerso, dove le coltivazioni arretravano fin quasi a scomparire e dominavano il bosco – circa mille ettari nel 1542, con propaggini a Chirignago e Zelarino -, la palude e la valle – quelle di Zuccarello misuravano ben 220 ettari – e praterie umide tanto estese quanto povere e perciò destinate unicamente al pascolo. I fattori naturali costituiscono però soltanto parte della spiegazione, essendo un tale paesaggio il prodotto anche di scelte politiche di gestione del territorio e di determinati assetti economici e sociali. In primo luogo la deviazione e l’allungamento dei corsi dei fiumi, che avevano inasprito le esondazioni. Poi l’introduzione dell’obbligo di destinare a praterie tutti i terreni contermini agli alvei. Un fattore rilevante, infine, era il forte peso raggiunto nell’area dalla proprietà ecclesiastica, qui rappresentata dai complessi fondiari anche cospicui di monasteri e conventi soprattutto veneziani, che non avevano l’interesse oppure le risorse per modificare un’economia fondata sull’affittanza in blocco di pascoli e boschi ad allevatori e legnaioli.
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Bibliografia:
- Bellavitis, Anna, Struttura sociale e regime fondiario di una podesteria della prima metà del secolo XVI, Treviso1994.
- Biscaro, Maria Grazia, Paesaggio agrario, proprietà e conduzione di una podesteria nella prima metà del secolo XVI, Treviso 1999.
- Fapanni, Agostino, Della coltivazione dei due territorj di Mestre e Noale nell’antica Provincia di Treviso e Noale,Milano 1810.
- Vigato, Mauro, Società, ambiente, economia dalle fonti fiscali di una podesteria trevigiana tra XV e XVI secolo, Treviso 2001.
Claudio Pasqual
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