Al giorno d’oggi il Marzenego scorre, tranne che in alcuni tratti, in un alveo provvisto di argini. Non conosciamo quando ne fu avviata la costruzione, sappiamo che essi esistevano già in epoca moderna. Nel 1661, una disposizione del Senato veneziano ordinava di rinforzare le difese del fiume, che si trovavano ridotte “in malo stato” e incapaci di trattenere le acque di piena, scongiurando così allagamenti e danni alle strade. Ancora nell’Ottocento, la loro estensione era inferiore a quella attuale: sappiamo ad esempio dai compilatori del Catasto austriaco che nel 1826 sul confine fra i comuni censuari di Mestre e Carpenedo il Marzenego scorreva privo di arginature. Altrove, dove esistevano, come a Zelarino, gli argini erano poi descritti come “piccoli”. In questi luoghi le sole opere di difesa, realizzate per altro dai frontisti e non dal consorzio, sembrano essere delle semplici coronelle, arginetti localizzati nei punti più critici del corso fluviale. Un esempio di questo genere di struttura si può osservare in un disegno del 1679 da Zelarino, dove la rappresentazione in sezione del fiume mostra su un lato una “riva” più alta e sull’altro una “riva sive coronela”più bassa, costruita per far da parapetto a uno stramazzo.
Questa degli argini è per altro una questione controversa nel dibattito fra i tecnici. Quando a inizio Ottocento si discusse sugli interventi da effettuare contro le esondazioni dell’Osellino che tanti danni causavano nell’abitato e nella campagna di Mestre, contro l’opinione di quegli ingegneri che caldeggiavano l’innalzamento degli argini, il perito del Consorzio Dese Giovan Battista Giuin Manocchi giudicava inutile e pericoloso l’imprigionamento del canale entro sponde più elevate e proponeva in sua vece l’allargamento e l’approfondimento del letto fluviale.
I governanti veneziani invece non coltivarono mai dubbi nella determinazione di mantenere privo di argine un preciso tratto del fiume, ossia il corso dell’Osellino a partire dalla svolta di Marghera, dove il canale costeggiava la laguna. In realtà, era solamente la sponda verso terra che avrebbe dovuto esserne senza, “acciocché – si legge nel decreto del Consiglio dei Dieci del 1501 – le acque nelle piene avessero tutto il campo di svagare senza molto tormento dell’argine che restava verso di Venezia”. Prioritaria era la salvaguardia della laguna, ed essa valeva evidentemente il sacrificio delle campagne.
Dunque la riva destra dell’Osellino da Marghera alla foce portava un argine, il solo effettivamente grande esistente sul Marzenego, innalzato a inizio Cinquecento al momento dello scavo del canale in prosecuzione dell’altro che da Fusina metteva a Marghera, lungo il bordo della laguna e in funzione di difesa della laguna stessa dalle acque dolci fluviali. Argine pubblico, protetto da leggi severe e incluso nel 1791 nella linea di conterminazione lagunare. Argine che per la sua altezza rappresentava una barriera insormontabile, dopo che il rallentamento della corrente dovuto al prolungamento dell’asta fluviale aveva reso più ricorrenti e gravi le alluvioni nel territorio tra Mestre e Tessera. Non sorprende dunque che subisse ripetuti attacchi, con punte di forte aggressività collettiva, come quando nel 1545, per dare sfogo alle campagne allagate, gli abitanti esasperati ruppero l’argine in più punti dal Bottenigo a Campalto, e le acque dolci corsero fino a Venezia “con sommo empito”. In seguito le stesse autorità decisero a più riprese, in assenza di alternative, l’apertura di rotte temporanee a soluzione del problema.
L’argine lagunare tornò di attualità nel confronto tecnico e amministrativo nella prima parte dell’Ottocento. Bisognava assolutamente sciogliere il nodo idraulico di Mestre, dove con la piena dell’Osellino l’abitato e il suo circondario finivano regolarmente sott’acqua. Il perito Manocchi aveva proposto di ampliare e approfondire il canale; prevalse invece l’orientamento, sostenuto dalle autorità locali, Comune di Mestre e Delegazione provinciale austriaca (1865), a smaltire le acque in eccesso attraverso uno sfioratore nell’argine lagunare. Da allora trascorse un tempo lunghissimo, tra indecisioni paralizzanti e progetti abortiti: il piano del 1880 dell’ingegnere del Consorzio Dese Monterumici non fu approvato; un manufatto provvisorio in legno fu distrutto da una piena nel 1895. Si dovettero attendere addirittura gli anni Trenta del Novecento perché fosse realizzato il “Canale dello Scaricatore alle Rotte”, munito di porte vinciane collocate sull’argine lagunare nelle vicinanze del forte Manin a San Giuliano.
Claudio Pasqual
§ § §