Qualche dato: un buon punto di partenza per ogni confronto di idee
ISPRA / Tematiche in Primo Piano – Annuario dei dati ambientali 2014-15
Cap. 5 – QUALITÀ DELLE ACQUE INTERNE
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Le principali cause di alterazione (pag. 4-6)
La domanda complessiva di acqua dolce prima del XX secolo era modesta se rapportata ai naturali cicli idrologici. Il consumo idrico è aumentato, in seguito, in modo critico con la crescita della popolazione, dell’industrializzazione e dell’irrigazione in agricoltura. Mentre la richiesta idrica continua tutt’oggi a crescere, le capacità di approvvigionamento di acqua pulita diminuiscono a causa dell’inquinamento sempre maggiore degli ecosistemi di acqua dolce e delle falde acquifere e della riduzione degli acquiferi.
Secondo i dati ISTAT del 2011, il consumo giornaliero medio nei comuni capoluoghi è di 160 -180 litri pro capite. Questo valore però rappresenta solo una piccola parte dell’acqua utilizzata pro capite giornalmente; andando, infatti, a valutare la cosiddetta “impronta idrica” (volume di acqua dolce impiegato per produrre beni e servizi) i numeri sono ben altri.
L’impronta idrica totale dei consumi in Italia è di circa 132 miliardi di m3 di acqua l’anno, che corrispondono a 6.309 litri pro capite al giorno. Da solo, il consumo di cibo (che include sia prodotti agricoli sia di origine animale) contribuisce all’89% dell’impronta idrica totale giornaliera degli italiani. Il consumo di acqua per usi domestici (per pulire, cucinare, bere, ecc.) è solo il 4% dell’acqua consumata ogni giorno, mentre l’acqua “incorporata” nei prodotti industriali rappresenta il 7%. I prodotti di origine animale (compresi latte, uova, carne e grassi animali) rappresentano quasi il 50% dell’impronta idrica totale dei consumi in Italia. Il consumo di carne, da solo, contribuisce a un terzo dell’impronta idrica totale.
L’impronta idrica della produzione in Italia ammonta a circa 70 miliardi di m3 di acqua l’anno. L’agricoltura è il settore economico più “assetato” con l’85% dell’impronta idrica della produzione, comprendendo l’uso di acqua per la produzione di colture destinate all’alimentazione umana e al mangime per il bestiame (75%), e per pascolo e allevamento (10%). Il restante 15% è suddiviso tra produzione industriale (8%) e uso domestico (7%)2.
Tra i settori produttivi, l’agricoltura è quello che presenta l’impronta idrica più elevata, pari all’85%.
Oltre al consumo di acqua, analizzato dall’impronta idrica, a depauperare la risorsa acqua concorre anche il crescente inquinamento. Le aree fortemente antropizzate costituiscono un nodo critico per l’elevata domanda di acqua per usi civili, industriali, agricoli, ricreativi e per la produzione di altrettanti volumi di reflui da sottoporre a trattamenti depurativi.
La massiccia antropizzazione e industrializzazione delle aree urbane determina spesso scarichi di fognature civili non depurati o depurati male, scarichi dei residui di materie prime e dei prodotti intermedi e finali dell’industria, il dilavamento di rifiuti e inquinanti delle aree cementificate adibite ad attività di servizi.
La grande industria determina oltre che l’inquinamento da sostanze inorganiche tossiche e nocive (ioni di metalli pesanti quali Cr6+, Hg2+, Cd2+, Cu2+, CN-, fosfati e polifosfati) e da sostanze organiche non naturali (acetone, trielina, benzene, toluene, ecc.), anche l’inquinamento termico che, con la modifica della temperatura dell’acqua, va ad alterare gli equilibri chimici e biochimici dei corpi idrici diminuendo la solubilità dell’ossigeno disciolto, provocando così alterazioni patologiche e/o la scomparsa di alcune specie viventi e/o lo sviluppo di altre normalmente assenti.
La presenza di allevamenti zootecnici intensivi genera forti pressioni dovute ai liquami prodotti e al dilavamento delle deiezioni, e l’uso massiccio in agricoltura di fertilizzanti e di prodotti fitosanitari, causa impatti sulla vita acquatica e modificazioni delle acque per uso potabile sia superficiali sia sotterranee.
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