Atti del Convegno – Sarto

Giorgio Sarto / storiAmestre

Conclusioni e prospettive

Oasi artificiale, Algeria

Oasi artificiale, Algeria

 

Ingegnosità e resilienza

Questa fotografia presa dall’alto, che mi ricorda delle fotografie che avevo fatto in Algeria negli anni settanta raso terra, anzi raso sabbia, è un esempio di adattamento estremo per la sopravvivenza in zone aride. Adattamento, come direbbe Mezzalira, a situazioni climatiche estreme.  Dispositivi e modi per affrontare la carenza d’acqua hanno una storia millenaria che arriva ai nostri giorni. Basti citare le “foggaras” africane o gli analoghi “qanats” asiatici, gallerie idriche scavate fino a drenare anche esili falde freatiche e che nel loro percorso – dotato di pozzi verticali distanziati – verso l’area da coltivare e l’insediamento utilizzano pure l’acqua di condensazione che si produce sulle superfici del condotto per la forte escursione termica tra interno ed esterno e tra giorno e notte.  Rispetto a questo patrimonio di invenzione e di opere, ancora più estremo è l’esempio richiamato dall’immagine fotografica: ai margini del Sahara, queste piccole comunità scavano questi grandi imbuti o crateri nella sabbia; rinforzano i bordi superiori, formati dal riporto della sabbia scavata e che sono un po’ sopraelevati rispetto al livello del deserto circostante, usando una recinzione di foglie di palma da dattero incrociate per impedire al vento di insabbiare continuamente i crateri. Sulla piccola area ricavata sul fondo piano di questi scavi vengono piantate delle palme da dattero, le cui radici attingono all’umidità del suolo e la cui ombra permette di coltivare piccoli orti di un’economia estrema, al limite di sussistenza. Estremo è l’uso dell’acqua che fa leva anche sull’umidità e la condensazione notturna. I cambiamenti climatici qui sono già avvenuti e qui si manifesta anche una resilienza e capacità di invenzione che ha richiesto un processo di adattamento estremamente difficile e precario. In particolare rispetto al bene indispensabile dell’acqua da secoli e nel presente la cultura delle popolazioni delle zone climatiche aride mostra, come prima accennato, molteplici soluzioni attinenti al risparmio, alla captazione, all’uso complementare della condensazione, come appunto il sistema estremo dei crateri isolati o quello ben più diffuso delle prima ricordate foggaras sahariane o dei qanats asiatici.
Questo per dire che a fronte di una prospettiva di peggioramento climatico accertata e molto grave, ribadita anche negli interventi della mattina, è stato evidenziato che ormai – anche se riguarda da un punto di vista temporale solo parzialmente la nostra generazione, ma per intero la nostra responsabilità verso le future generazioni – bisogna ragionare prendendo sul serio che questi cambiamenti sono in atto e la situazione si aggraverà, e che è un compito nostro, oltre a quello dei sedicenni e altri giovani, di affrontare la situazione nel duplice versante – anzi direi triplice – dello studio e della conoscenza, dell’adattamento e della mitigazione, dell’innovazione radicale.

Innovazione radicale

Io accentuerei quest’ultimo aspetto perché sempre l’invenzione, la creatività soprattutto a fronte delle necessità è stata una caratteristica di ogni progresso umano. Quindi è in questo versante soprattutto che potremo agire e che c’è un impegno futuro. Quello della conoscenza è però il primo passo e quanto è stato portato dai vari interventi di questo convegno credo sia un patrimonio prezioso e io farei la proposta e pregherei i relatori se ci forniscono come associazione storiAmestre i loro contributi per poterli utilizzare e diffondere in rete. Anche l’ultimo intervento del dottor Salviati ci ha mostrato quanto sia importante una conoscenza e partecipazione alle varie differenziate situazioni.

In sostanza mi pare che l’aspetto contraddittorio cui siamo di fronte e comunque la connotazione dei mutamenti climatici sia appunto la contraddizione e il manifestarsi di fenomeni estremi anche di carattere opposto; l’esempio è aumento delle alluvioni e siccità, scarsità d’acqua e precipitazioni inusitate con distruzioni e spreco dell’acqua che va a mare.

Anche con questo convegno si è aperta una finestra importante sul problema dell’acqua come bene finito e scarso, mentre altri aspetti sono da approfondire; e proporrei che anche nel gruppo che si è occupato dei fiumi, in particolare per il contratto di Fiume Marzenego, si arrivi a indicare anche alcuni temi che possono sviluppare il nostro lavoro. Prima di enunciarli però vorrei fare un cenno a quello che abbiamo tentato già di realizzare, sia nell’ambito del contratto di Fiume sia come lavoro di un’associazione che si chiama storiAmestre e che intende la storia fino al presente anche con le responsabilità verso il futuro.

La vicenda storica del Marzenego

Nel Contratto di Fiume abbiamo in particolare curato appunto la vicenda storica di questo fiume di risorgiva, il Marzenego, arrivando fino al 2014 (allora la disponibilità della cartografia era fino al 2014, arrivando in sostanza ai giorni nostri) e mettendo l’accento sulle grandi trasformazioni del secondo dopoguerra, in particolare nell’area della terraferma veneziana. Queste trasformazioni sul sistema idrografico sono state abbastanza vaste e anche violente rispetto alla situazione del territorio e all’attuale consapevolezza ecologica. Si parlava anche nei vari interventi di meandri, eccetera; sappiamo che i fiumi, anche questi nostri di risorgiva, sono stati rettificati e in parte cementati perché, secondo il vecchio assunto ingegneristico occorreva portare le acque in laguna e al mare il più velocemente possibile. Contemporaneamente il territorio veniva edificato e cementificato/impermeabilizzato. Abbiamo documentato i progetti e le realizzazioni degli anni ’60, come per esempio il grande sistema scolmatore di Mestre che hanno trasformato completamente il sistema idrografico: basti pensare che gli affluenti del Marzenego sono stati tagliati, canalizzati e deviati nello scolmatore fino all’idrovora di Tessera che scarica l’acqua in laguna. In questo modo si è in parte risolto il problema delle alluvioni del Marzenego, ma creando problemi di compatibilità ambientale, di compromissione della biodiversità, ecc. Inoltre il sistema fognario costruito con i fondi della legge speciale per Venezia (che coinvolge l’intero vasto bacino scolante che sversa in laguna), è stato realizzato nel territorio veneziano non con fognature separate, ma miste. In forza di questo errore quindi abbiamo avuto   allagamenti aggravati in gran parte dalla tracimazione del sistema fognario.  Questo è stato anche documentato in quel libro “Acque alte a Mestre e dintorni” curato da M.Luciana Granzotto e M.Giovanna Lazzarin che è ancora lì sul nostro tavolo  di storiAmestre. In questo excursus storico da fine ‘700 ai giorni nostri che abbiamo prodotto per il contratto di fiume (e che inizia da quella fondamentale cartografia del Von Zach che è lì sul tavolo e che abbiamo ricomposto per comprendere tutto il territorio tra Venezia, Treviso e Padova attraversato dai fiumi di risorgiva), abbiamo particolarmente accentuato l’esame sulle trasformazioni critiche del bacino fluviale del Marzenego in epoca contemporanea. Per esempio documentando (cfr. fig. 2 con estratti di mappe dell’inizio anni ’60, reperite all’archivio storico del Consorzio Acque Risorgive) le lottizzazioni fitte e invasive a ridosso del Marzenego, quando ancora il fiume aveva i meandri, destinati nella medesima cartografia alla rettifica.

Fig. 2. Mappe con lottizzazioni anni 60

Fig. 2. Mappe con lottizzazioni anni 60 (visione ingrandita nella Petizione )

Lottizzazioni invasive

Le lottizzazioni rinserrano il fiume e la fila dei lotti frontisti occupa tratti degli argini, così privatizzati.  I lotti disposti ai bordi di un ampio meandro, da rettificare secondo il progetto del Consorzio, verranno ridistribuiti ai bordi della rettifica. Molti dei ritagli demaniali risultanti da questa doppia operazione, di lottizzazione di aree agricole e di rettificazione del fiume, sono stati di fatto privatizzati. Quindi anche i problemi di gestione e di pianificazione urbanistica – in questo caso del comune, del consorzio e del demanio – di cui ha accennato su scala più ampia Franco Schenkel, sono componenti di una trasformazione materiale radicale che ha anche forti conseguenze culturali, antropologiche, per cui la popolazione ha “voltato le spalle” al fiume.

Cioè quel Marzenego che ancora nella letteratura e nelle interviste degli anziani veniva e viene ricordato come un bene comune, un fiume frequentato, oltre che dalle attività molitorie, dall’insieme della popolazione, perché accessibile e fruibile, si è tramutato nelle zone male urbanizzate in una presenza e paesaggio secondario, ad accesso ostacolato e privato.

Conoscenza e fruibilità del fiume

È molto difficile oggi per esempio proporre quella semplice azione di poter percorrere l’argine: lo si fa con accordi complicati con i proprietari, con la mediazione del Consorzio e così via. In questa situazione è molto importante una serie di proposte che il Contratto di Fiume (2014-2018) ha in qualche modo adottato, tra cui quella della percorribilità degli argini e della realizzazione di quel Parco del Marzenego che da oltre 50 anni è indicato in vari piani urbanistici a scala comunale, provinciale, regionale ma che non è stato mai attuato. L’abbiamo allora proposto come obbiettivo nella mostra itinerante che storiAmestre ha prodotto per il Contratto di fiume sulle storie e sullo stato attuale del Marzenego lungo gli oltre 40 chilometri del suo corso. Importante è l’iniziativa recente della raccolta di oltre 600 firme e dell’adesione di 15 associazioni su una petizione al consiglio comunale di Venezia per la realizzazione del parco fluviale tra il centro di Mestre e Zelarino, in prospettiva da estendere a scala metropolitana. [vedi Petizione_ParcoMarzenego_2020-PPT]

Questa è una iniziativa costruita dal basso, autonoma e capace di proposte, ma che chiama in causa, per attuare miglioramenti sostanziali dell’ambiente e della vita della cittadinanza, anche chi ha responsabilità e poteri istituzionali.**

Per coinvolgere la popolazione a favore del fiume e delle sue acque e per la sua fruibilità sono state attivate anche iniziative con le scuole, come per esempio un Gioco dell’Oca, prodotto anche in formato gigante, che ha avuto molto successo non solo con i giovani ma anche rispetto agli adulti.

Attività recente è quella citata stamattina dal prof. Vallerani, che riguarda la collaborazione a un’esperienza di “scienza dei cittadini” coordinata a Delft, che concerne la misurazione della qualità dell’acqua di alcuni fiumi in vari paesi europei. Questa e analoghe iniziative di coinvolgimento della popolazione e di riappropriazione democratica dei fiumi e dell’acqua sono di particolare importanza a fronte dei cambiamenti climatici.

Acqua scarsa e inquinata

Vengo a una proposta di come proseguire i confronti che un convegno come quello di oggi potrebbe favorire non solo rispetto ad alcuni studiosi e associazioni che si occupano di ambiente e di storia, ma interessando strati più ampi di persone. Vi è un grande capitolo che coinvolge la pianura padana e il Veneto, particolarmente drammatico nelle province colpite dal disastro dei PFAS: la questione dell’inquinamento delle acque.  Credo che sia materia urgente di approfondimento, che la vicenda possa già essere guardata in un’ottica storica, intendendo per storica anche la contemporaneità e gli interrogativi non solo sulle cause di trasformazioni disastrose, ma anche la ricerca di alternative e soluzioni. Si possono considerare due sconvolgenti disastri di origine antropica: da una parte quello del cromo esavalente tra la provincia di Padova e quella di Vicenza, una questione che non è ancora chiusa malgrado la fase giudiziaria e i primi non risolutivi interventi della Regione; dall’altra parte quello appunto dei PFAS che parte dal Vicentino ma ha coinvolto varie province e anche la laguna di Venezia perché vari composti sempre della categoria dei PFAS sono stati verificati anche in laguna.

Tanto più a fronte dei cambiamenti climatici, della scarsità d’acqua o delle alluvioni, l’inquinamento è uno dei maggiori fattori di degrado e perdita dell’acqua, di contaminazione del territorio, di degrado della biodiversità, di rischio della salute e della stessa vita umana.

[Bruna Gumiero si inserisce annunciando il progetto MISC / Riunione di Noale]

Penso che ci saremo senz’altro, e credo che questo possa essere un contributo basilare alla situazione specifica e anche per portare avanti quella più impegnativa proposta, prima accennata, di Parco del Marzenego dove ancora non c’è, e che ha appunto funzione di depurazione delle acque, di incrementare la biodiversità, di riqualificare il paesaggio e rendere fruibile la fascia fluviale, eccetera.  Abbiamo già avuto poi con Ca’ Foscari e IUAV rapporti con le università e anche questa strada è fondamentale per poter risolvere quei problemi che lo studio approfondito evidenzia.

L’aspetto antropologico

Il secondo aspetto che potrebbe essere affrontato in un prossimo convegno è quello antropologico, e l’ho già accennato in riferimento alla rottura della cultura attorno al Marzenego come bene comune verificatasi a partire dal secondo dopoguerra, negli anni ’60 e ’70. La vicenda dei cambiamenti climatici è già a livello più acuto in varie zone del mondo e da un punto di vista culturale è importante conoscere come reagiscono le popolazioni – in particolare sui vitali problemi delle acque -, quale consapevolezza, resilienza e prospettive manifestano. Il punto di vista antropologico può essere limitato ai fiumi e alle acque meteoriche e sotterranee, o allargato nel nostro caso al rapporto con la laguna e con il mare, con gli oceani, eccetera.

Lo spreco del suolo

L’ultimo tema basilare su cui dei passi avanti sono stati fatti anche a livello legislativo ma in modo anche qui contraddittorio e con delle controtendenze drammatiche, è la questione dell’uso del suolo, dello spreco del suolo, di norme che sembrano risolutive ma non lo sono: per esempio l’invarianza idraulica nelle autorizzazioni edilizie non è assolutamente un dispositivo sufficiente rispetto agli scopi che dovrebbe proporsi. Perché per esempio non affronta la impermeabilizzazione del suolo pregressa. Anche in questi mesi nella terraferma veneziana e ovunque nel Veneto sorgono condomini con molti appartamenti o complessi turistici dove c’era prima una casetta e il lotto che prima era prevalentemente libero viene occupato totalmente, salvo i 5 o 10 metri dai confini. Quindi anche la questione dell’uso e del risparmio del suolo si intreccia alla questione dei fiumi e delle acque del sistema complessivo e di quello che dovrebbe essere un saggio e democratico governo del territorio. Penso che possa essere utilmente affrontato. In ogni caso la questione dell’inquinamento mi sembra prioritaria.

Credo che questo convegno sia stato fondamentale e vorrei concludere – vista l’ora e anche l’attenzione coraggiosa di quelli che sono rimasti – augurando che possiamo procedere tutti negli approfondimenti e soprattutto nella ricerca di soluzioni; ritengo che siano stati importanti anche gli spiragli aperti da Giustino Mezzalira che a proposito dell’angoscioso dilemma sul rapporto agricoltura – acqua ha indicato alcune vie d’uscita.

Sono convinto che quella dell’intelligenza creativa, della capacità critica e nel contempo di cooperazione sia la strada da seguire, cioè collaborare per trovare soluzioni comuni che rispondono ai problemi individuati. Oggi sempre più è il vasto mondo a dover affrontare trasformazioni traumatiche e non basta più la pur geniale invenzione e resilienza degli artefici dei crateri sahariani.

E ci auguriamo tutti che miliardi di alberi siano piantati e di fare dei passi avanti in contrasto ai mutamenti climatici e alle loro conseguenze.

[applausi]

**Aggiornamento al 10/05/2020, a cura di G.S.:

La petizione per la realizzazione del Parco del Marzenego, integrata  da una proposta  alternativa a un tracciato viario incompatibile con l’area degli  antichi meandri del Rio Cimetto, è stata discussa dai proponenti con le commissioni competenti  del Consiglio comunale di Venezia; il Consiglio poi ha approvato il 05/03/2020 all’unanimità la delibera n.18-Variante n. 52 al Piano degli Interventi, con gli indirizzi per la realizzazione del Parco fluviale e l’emendamento che “impegna in fase di progettazione esecutiva la Giunta a verificare un tracciato viario  il più possibile compatibile con l’area e i meandri del  Cimetto…”; la Soprintendenza inoltre, dopo la nostra segnalazione e dopo aver effettuato sopralluogo, ha scritto al Comune citando la nostra Petizione e indicando  di allontanare il nuovo tracciato viario dai meandri del Rio Cimetto. Infine la Delibera è stata pubblicata e il termine per le Osservazioni, che non mancheremo di presentare, è il 01/06/2020.

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