Ridiamo il nome ai fossi

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Il lavoro è stato presentato in anteprima  alla “Castellana 2018” di Martellago e poi ufficialmente al “Negozio Piave 67” di Mestre il 28 settembre 2018 in un convegno in cui sono intervenuti anche il prof. Francesco Vallerani di Ca’ Foscari, la prof. Maria Chiara Tosi dell’IUAV, il dr. Paolo Cornelio del Consorzio di Bonifica acque Risorgive, con la moderazione dell’arch. Giorgio Sarto.
Nella stessa occasione è anche stata inaugurata per la prima volta a Mestre la mostra cartografica storica “Il fiume Marzenego – Osellino nell’area metropolitana e a Mestre.
CARTOGRAFIA STORICA e rappresentazione dello STATO ATTUALE per la riqualificazione e cura del fiume, per il parco del Marzenego.” La mostra è stata curata da Giorgio Sarto e da Mario Tonello.

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Progetto “RIDIAMO IL NOME AI FOSSI”

Rivalutazione e cura delle acque minori che attraversano i luoghi dove viviamo

 

Sommario

Presentazione del progetto
Stato di realizzazione
Problemi aperti
Descrizione degli allegati
Per l’utilizzo di Google Earth
Legenda ed avvertenze
File da scaricare



1\ Presentazione del Progetto

 

Tra gli impegni programmati per la realizzazione del Contratto di Fiume Marzenego, storiAmestre ha annunciato[1] anche un progetto intitolato “Ridiamo il nome ai fossi. Visibilità e riconoscibilità del reticolo idrografico”.

Questo rapporto mostra lo stato attuale dei lavori.

Il quadro di riferimento è l’Azione A.1. (Studi e indagini / Aggiornamento del quadro conoscitivo)[2] che prende in considerazione la toponomastica come elemento importante per la conoscenza del territorio, anche riguardo ai corsi d’acqua.

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Il Contratto di Fiume mette in relazione due realtà: da un lato quella fisica, naturale, oggetto di considerazione e di descrizione autonoma (geografica, appunto) che astrae il “corso d’acqua” dal contesto che non sia idrografico; e dall’altro la realtà del territorio attraversato, delle persone o le comunità che ne utilizzano le risorse o che ne subiscono i danni: la realtà economica, politica, culturale, quella cioè cui afferisce il termine “contratto”.

Il “Fiume” inoltre è la dorsale di un sistema idrico ricco e complesso. È uno dei “corsi d’acqua” di un reticolo di venature, di un bacino i cui vasi sono comunicanti e quindi interdipendenti.

Il Contratto di Fiume insomma integra il fiume nel suo contesto idrologico e funzionale: insediamenti umani, trasformazione del territorio, vita sociale, produzione agricola e industriale, comunicazioni e spostamenti, ecc.

Come spesso succede, gli elementi più costanti del nostro ambiente sono quelli meno osservati, sono elementi scontati della nostra percezione. Ma cosa li porta a livello della nostra coscienza e conoscenza? È l’idea di associare una sua rappresentazione ad un nome, e di fissarli sulla carta (o su altri supporti).

Su questo sfondo, si può notare un aspetto abbastanza singolare.

Se chiedessimo agli abitanti di Mestre, per esempio, se sanno che per la loro città passa un fiume, molti rimarrebbero stupiti, o dovrebbero fare mente locale per ricordare dove ne hanno visto uno.
Giorgio Sarto ha usato una felice espressione per descrivere il rapporto con il Marzenego degli abitanti – o, per meglio dire – delle amministrazioni succedutesi nell’area del Bacino: “Hanno voltato le spalle al fiume”.

Questa situazione ha però una giustificazione di fatto: in ogni luogo di contatto col corso del fiume: ponti, riviere, darsene, manufatti tecnici, ecc., vi è l’assenza completa di ogni segnalazione della sua presenza[3].
Da Noale a Mestre, per esempio, niente indica la presenza del fiume, non ne compare mai il nome!

E si dimostra fondata l’idea che ciò che non ha nome, non esiste! [4]

A scuola, i professori mostravano le famigerate “carte mute”: saper indicare il nome dei luoghi testimoniava la loro esistenza nel nostro orizzonte delle conoscenze.

Una volta i figli “naturali” erano schedati come “figli di n.n.”, cioè “non nominato”. Ma popolarmente si diceva “Figli di nessuno”: non hai un nome, non sei nessuno.

In antico si conosceva il deserto del Sahara, ma siccome nessuno ne sapeva il nome, si è dovuto certificarne l’esistenza con un trucco: nelle carte lo si è indicato con “Hic sunt leones, lì dove ci sono i leoni”.

Le strade hanno un nome, i canali di Venezia anche, la montagna dà un nome anche a tutti i suoi più piccoli anfratti, i genitori danno il nome ai figli per farne emergere socialmente l’esistenza.

Le persone nascono in un orizzonte nominato, che forma e descrive il loro habitat, che costituisce la parte a loro nota del loro mondo, che è la loro cultura.

Dei corsi d’acqua invece non viene percepita l’esistenza.

E allora, chi si prende cura di una cosa che non esiste? Chi ne vede i pericoli insiti, le potenzialità positive?

 

Nei fatti, nel reticolo delle acque minori regna una indeterminatezza abbastanza stupefacente, almeno per un profano[5].

Gli organi tecnici per fortuna sembrano messi meglio, ma quasi all’insaputa del resto del mondo.

Chi ha la curiosità e il piacere di percorrere il corso di fossi e canali vede la poca cura (spesso anche degli stessi fruitori) di cui sono oggetto.

Qui si affaccia un altro problema: i corsi d’acqua maggiori sono affidati alla cura della Regione o del Consorzio[6], che ha la responsabilità loro e del loro bacino idrico. Chi ha l’autorità amministrativa su quelli di tipologia minore che appartengono al Demanio Minore o ai privati? Qual è il ruolo dei Comuni? La polarità bene pubblico – bene privato è tutt’altro che chiarita né tanto meno risolta.

Questo lo sfondo su cui storiAmestre ha progettato l’azione “Ridiamo il nome ai fossi” per il Contratto di Fiume in cui è coinvolta[7].

[segue]

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