Una forma fra le più incisive e appariscenti, per l’evidenza, la qualità e la durevolezza dei segni impressi nel paesaggio, dell’appropriazione e riorganizzazione del territorio secondo le proprie finalità e interessi da parte della classe dirigente veneziana fu la proliferazione di ville su ampia parte dei Domini di Terraferma della Serenissima.
Queste dimore signorili di campagna, e le loro precorritrici case da statio, accompagnarono e seguirono dal Quattro-Cinquecento in poi la metamorfosi dell’oligarchia lagunare da ceto di mercanti a classe di proprietari terrieri. In questo contesto, la villa viene a svolgere una duplice funzione: non è solamente luogo di ricreazione e di svago, palcoscenico di estivi ozi campagnoli per una nobiltà in fuga dal sofego della laguna (non dimentichiamoci che deriva da “villa” il termine “villeggiatura”, sinonimo oggidì, nell’epoca del turismo di massa, di vacanza montana o balneare); posta spesso laddove una famiglia detiene cospicui possedimenti fondiari, essa è anche centro direzionale-amministrativo di un’azienda agricola – e dunque complesso edilizio che alla residenza vera e propria unisce la serie degli annessi e pertinenze rurali indispensabili alla produzione –, dalla quale rimodellare, gestire e controllare lo spazio rurale a beneficio della proprietà, tanto nelle sue strutture fisiche quanto negli equilibri e dinamiche sociali del territorio. Ai veneziani si aggiunsero poi numerosi provinciali, nobili e borghesi di città, in un’intensa opera edificatoria, proseguita nei due secoli successivi, che portò a larghissima diffusione quella che è stata battezzata non senza ragione “civiltà della villa”.
Nel catalogo dei beni architettonici e ambientali dell’Istituto regionale delle Ville Venete figurano attualmente, nei comuni attraversati dal Marzenego, 78 tra ville, pertinenze di ville e altri manufatti affini, databili dal XV al XVIII secolo: un patrimonio cospicuo, nel quale si dovrebbero includere altre consimili costruzioni non più esistenti. Soltanto una parte insiste nel bacino del nostro fiume e soltanto alcune hanno uno stretto rapporto con esso, per la localizzazione presso le sponde o ancor di più per aver integrato l’elemento liquido nella struttura architettonica, messo a valore quale attributo estetico e funzionale della costruzione. In tale prospettiva, quattro di queste dimore meritano di essere presentate in questa sede: la villa Corner di Piombino Dese, la villa Rossi di Noale, le ville Barbarich di Zelarino e Querini di Mestre.
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L’esempio più insigne di dimora rustica nobiliare nel territorio del Marzenego è senza dubbio la villa Corner, ora Gable, capolavoro di Andrea Palladio, a Piombino Dese.
I Corner (o Cornaro) del ramo di San Cassiano, suoi primi proprietari, furono una “famiglia tra le più illustri e più potenti dell’oligarchia senatoria veneziana”. Prozia del committente Giorgio era stata la celebre Caterina regina di Cipro (1454-1510). Proprio il Cinquecento, secolo al quale risale la villa, rappresentò il momento di maggior forza della casata, e proprio nelle persone dei suoi due costruttori, Giorgio e il figlio Girolamo (1562-1634). Il primo si dedicò alla carriera militare, morendo a Lepanto (1571); il secondo fu più del padre un influente uomo di governo e un diplomatico, rettore di importanti podesterie (Vicenza, Bergamo, Verona, Brescia), ambasciatore presso il papa, membro delle massime magistrature veneziane.
Già a inizio Quattrocento i Corner erano proprietari nella zona di Piombino di vasti possedimenti terrieri. Qui il senatore Girolamo fece costruire tra il 1539 e il 1549, su disegno di Michele Sanmicheli, una casa grande da statio (poi demolita nel 1795). L’estimo del 1549 la descrive prospicente a nord la Castellana, con il brolo sul retro degli edifici delimitato a sud dal Draganziolo (o Draganzuolo), affluente del Marzenego. Morto Girolamo nel 1551, la casa andò al primogenito Andrea; l’altro figlio Giorgio ereditò invece parte del brolo, una barchessa e la metà del giardino. L’incarico al Palladio del progetto di una villa da erigere su questo fondo risale al 1552. Prontamente avviato il cantiere e abitabile parte della residenza già nel 1554, in seguito i lavori proseguirono tra lungaggini e interruzioni fino al 1596, con l’intervento nella fase finale di Vincenzo Scamozzi, cui si deve il progetto della barchessa, rifacimento di un’analoga struttura quattrocentesca.
La villa rimase in possesso della famiglia Corner fino al 1807; successivamente cambiò tre volte proprietario, per essere poi adibita dal 1951 ad asilo parrocchiale. Abbandonata dalle suore e disabitata, nel 1969 passò in mani statunitensi, prima della famiglia Rush, che ne curò il restauro, poi dal 1989 degli attuali proprietari, i coniugi Gable di Atlanta.
La villa di Piombino Dese, a due piani rialzati con ampia scalinata e due corpi laterali gemelli, si segnala per lo straordinario pronao aggettante a doppio ordine di logge della facciata, soluzione adottata da Palladio anche a palazzo Chiericati a Vicenza e probabilmente mutuata dall’edilizia gotica lagunare – così come un motivo da interni veneziani sono le colonne libere a piano terra-. Per struttura e decoro villa Corner appare dunque più vicina a certa edilizia urbana e più che alla tipologia della villa veneta corrisponde al modello della residenza di campagna, isolata com’è rispetto alla tenuta agricola e alle dipendenze e in posizione preminente sulla strada pubblica.
L’ampio parco sul retro dell’edificio termina con una peschiera, scavalcata da un ponte a cinque archi oltre il quale si esce nella campagna. Peschiera e ponte sono ben visibili in un disegno del 1715-16. L’estimo di inizio Settecento chiama ghebeto del Dragonzello il canale di alimentazione della peschiera. La mappa coeva lo indica invece come il Dragonzolo vechio. Infatti il fiume era stato deviato verso sud in un alveo artificiale dal tracciato rettilineo, per aumentarne la velocità di scorrimento alo scopo di garantire la produttività di alcuni impianti posti sulle sue sponde; il Draganziolo originario era stato mantenuto a servizio dei Corner; i due corsi d’acqua confluivano poco oltre la villa. Il brolo posto a sud del parco era circondato su tre lati da canali che si scaricavano nel Dragonzolo novo; oggi un solo fossato porta l’acqua della peschiera al fiume correndo sul margine orientale di un vasto fondo coltivo. L’idrografia del luogo è cambiata rispetto a tre secoli fa: la fossa di villa Corner risulta essere una diramazione del vecchio Draganziolo, con la presa nel punto in cui il fiume è stato fatto piegare ad angolo retto verso sud per sterzare dopo poco allo stesso modo verso est, in un letto artificiale che corrisponde in parte al Draganzuolo nuovo.
Il fiume dunque era utilizzato a villa Corner per alimentare d’acqua corrente un invaso che era contemporaneamente un impianto per la piscicoltura e un elemento ornamentale. A Piombino si dà dunque un caso in cui l’idrografia locale, opportunamente modificata e adattata, è integrata in un complesso architettonico residenziale-direzionale con una duplice funzione, produttiva ed estetica.
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Villa Rossi si trova nell’abitato di Noale, nel borgo verso Camposampiero, appena fuori del Castello a ovest. La prima testimonianza sull’edificio risale al 1683 e ne attribuisce la proprietà a Marco Antonio Rossi. I Rossi erano una famiglia cittadinesca fra le più in vista di Noale, dai cui ranghi uscirono notai e chierici e numerosi amministratori locali. La villa appartenne loro sino alla fine dell’Ottocento. Venne quindi acquistata dal canonico Giuseppe Menegazzi e divenne sede di un collegio femminile, il “San Giuseppe”, gestito dalle suore riparatrici di Milano. Adibita successivamente a giardino d’infanzia, durante la Grande guerra fu ospedale da campo. Riaperto l’asilo, nel 1943 tornarono le riparatrici con il loro collegio “San Giuseppe”. Nel 1959 è passata all’ENAIP ed è stata utilizzata fino al 1999 come sede per corsi di formazione professionale.
Il complesso di villa Rossi mostra chiaramente, nell’articolazione e varietà della struttura, dei prospetti architettonici e degli elementi stilistici, di essere il prodotto di più interventi succedutisi nel tempo. Essa si presenta oggi con un impianto planimetrico a “C” allungata e rovesciata, il cui corpo principale e originario, cinque-seicentesco, corrisponde al lato corto inferiore; la costruzione del braccio lungo a ovest fu avviata nel Settecento ma non si concluse, assieme a quella del lato nord, prima del secondo Ottocento.
Il grande edificio a tre piani con torretta, loggiati, balconi e trifore, piuttosto che a una dimora di campagna secondo il modello della villa veneta corrisponde alla tipologia delle case dominicali di una borghesia provinciale attiva e colta, incline a imitare tendenze e comportamenti provenienti dalla città, com’è evidente nella simmetria e composizione architettonica tipiche della casa veneziana che caratterizzano la facciata del nucleo originario di casa Rossi.
Davanti ai corpi di fabbrica occidentale e settentrionale della villa scorre il Marzenego. Si tratta di uno dei due rami in cui esso risulta diviso a circondare come elemento difensivo il castello e la rocca di Noale: la biforcazione si trova poco più in basso proprio all’altezza della villa. Qui la funzione del fiume si restringe a segnare su due lati il perimetro della proprietà, funge dunque da dettaglio esornativo giocato come carta per accentuare l’amenità del luogo. Però qui l’acqua demarca ma non isola, perchè scavalcata da un ponticello che mette sulla pubblica via.
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Anche nel caso di villa Barbarich, in località Zelo sulla strada Castellana fra Mestre e Zelarino, esiste l’antecedente in sito di una casa da statio. L’avevano presa a livello i veneziani Garzoni dal Banco, per poi cederla ai loro creditori Malipiero dopo il fallimento della propria banca nel 1499. Incendiata dagli imperiali nel 1513 durante la guerra della Lega di Cambrai, la casa fu ricostruita prima del 1538.
Nell’estimo del 1546 è attribuita a Giacomo Malipiero e fratelli, su un fondo di tre campi di prato e brolo a cavallo del Marzenego, una “casa granda da statio, con teza, pozzo, forno”; dunque l’edificazione della villa è successiva ed è fatta risalire alla seconda metà del Cinquecento, sempre a opera dei Malipiero, che ne mantennero il possesso fino a inizio Seicento. In seguito si succedettero vari proprietari, tra i quali alcune famiglie di cittadini originari veneziani; il nome Barbarich con il quale è comunemente indicata appartiene a un casato friulano di Pasiano in provincia di Pordenone, insignita del titolo comitale nel 1895, che della villa fu titolare per tutta la prima parte del secolo scorso. A metà anni Sessanta la proprietà fu acquistata da una famiglia di imprenditori mestrini; recentemente è subentrata una società veneziana, che ha provveduto al restauro dell’edificio e lo ha adibito ad albergo di lusso. Dopo che era stata trasformata nei Cinquanta in alloggi per alcune famiglie di operai, da lungo tempo la villa risultava in totale abbandono ed esposta a ogni genere di oltraggi. Così si è potuto salvare un manufatto di notevole valore artistico, e recuperare soprattutto i pregevoli affreschi cinquecenteschi, attribuiti al pittore fiammingo Ludovico Pozzoserrato ma di scuola del Veronese, che ne decorano gli interni.
Villa Barbarich è una costruzione a due piani con sottotetto con finestre ellittiche, l’ingresso principale a sud con porticato ad archi e timpano sommitale su entrambe le facciate. Il piano nobile presenta una finestra con volta ad arco e poggiolo verso tramontana. La recente ristrutturazione ha giustapposto alla villa sul lato ovest un voluminoso corpo di fabbrica che non si armonizza per forme e stile, a nostro giudizio, con il manufatto originario. La barchessa allungata e a L, su due piani, è agganciata allo spigolo sud-est della villa e si prolunga fino all’argine del Marzenego. Sulla sinistra idrografica, la villa guarda dunque il fiume scorrerle davanti, al di là di uno spazio aperto oggi trasformato nel giardino dell’albergo. Il ponte che attraversava un tempo il Marzenego, documentato nelle mappe settecentesche, è stato ricostruito dalla nuova proprietà. L’acqua non sembra qui aver giocato altro ruolo che quello di elemento fisico concorrente con altri a disegnare la topografia del luogo, con un richiamo simbolico evocativo nell’ambiente rurale del forte legame dei committenti veneziani con la città di appartenenza.
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Villa Querini si trova nell’abitato di Mestre, in località anticamente denominata Sabbioni, tra le vie Verdi e Circonvallazione, non lontano dalla centrale Piazza Ferretto.
Fu fatta costruire dai Querini di Santa Maria Formosa (da inizio Ottocento Querini Stampalia), antica e ricca famiglia patrizia veneziana, alla quale appartenne fino alla morte, avvenuta nel 1869, del conte Giovanni Querini Stampalia, ultimo superstite della casata, che lasciò tutti i propri beni alla città di Venezia. Dal testamento di Andrea di Giovanni (1710-1795) risulta essere stata costruita dopo il 1763 su fondi da poco acquistati ai Sabbioni di Mestre, ma un disegno del 1682 mostra in corrispondenza del sito della villa attuale un massiccio edificio dominicale a pianta quadrata; forse il palazzo che Luigi Brunello sostiene essere stato fatto erigere da Tommaso Querini e andato distrutto prima del 1695 in un incendio, e che altri ritengono essere stata casa da statio, preesistenza della villa futura. Diventata proprietà del Comune di Venezia, nel tempo l’antica dimora di campagna dei Querini è stata sede dell’ufficio d’igiene e in seguito di vari uffici dell’ente locale.
La villa si compone di un compatto edificio padronale a pianta quadrata su tre piani con seminterrato, cui si innesta sul lato sinistro un corpo di servizio articolato in una serie di segmenti edilizi consecutivi posti fra loro ad angolo retto. Lo spazio recintato antistante è tenuto a giardino, sul retro sorge un piccolo parco che ha rappresentato per lungo tempo l’unico area a verde pubblico a disposizione della cittadinanza.
Il fiume Marzenego lo costeggia sui lati settentrionale e orientale, per poi piegare decisamente verso est appena superata la villa, ma sottratto alla vista, tombinato sotto il manto stradale della Riviera XX settembre. Risulta che la casa di campagna dei Querini sorgesse isolata e lontana dalle altre proprietà che la famiglia possedeva nella zona; anche qui dunque il fiume ha rappresentato un elemento puramente decorativo, spettacolare, parte di una scenografia da idillio agreste, allestita per deliziare il loisir di padroni e ospiti al tempo della villeggiatura.
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Cartografia:
• La carta del 1715-1716 che rappresenta il territorio di Piombino Dese con la rete idrografica e la villa Corner si trova in ASV, Provveditori sopra beni inculti, Padova-Polesine, disegni, rotolo 398 bis, mazzo 49, dis. 2; è pubblicata in Villa. Siti e contesti, a c. di Renzo Derosas, Treviso 2006, p. 145.
• La carta del castello di Noale che include la rappresentazione di villa Rossi e datata 1683 si trova in ASV, Provveditori sopra beni inculti, Treviso-Friuli, disegni, rotolo 441, mazzo 30 A, dis. 5; è stata pubblicata in Dal Maistro, Giacomo, Noale tra memoria e storia, Spinea (Venezia) 1994, p. 224.
• La rappresentazione cartografica più antica di villa Barbarich sono due disegni, l’uno del 1767, l’altro senza data ma probabilmente coevo, conservati nell’archivio parrocchiale di Zelarino, b. 12, fasc. Pezzana, e pubblicati in Rossato, Valerio, Storia di una fabrica voluptuosa. Villa Malipiero–Barbarich a Zelarino, Mestre 2004, pp. 123-24.
• Il palazzo di epoca precedente la villa Querini è visibile nel disegno del 1682 conservato nella Biblioteca Comunale di Treviso, Fondo cartografico, mappa n. 13; lo si trova riprodotto in Calabi, Donatella e Svalduz, Elena, Il borgo delle Muneghe a Mestre. Storia di un sito per la città, Venezia 2010, p. 31.
Bibliografia:
• Battilotti, Donata, Villa Cornaro, in Puppi, Lionello, Andrea Palladio, ed. aggiornata a c. di D. Battilotti, Milano 1999 [Milano 1973], pp. 464-465.
• Brunello, Luigi, Mestre, Mestre 1964.
• Calabi, Donatella e Svalduz, Elena, Il borgo delle Muneghe a Mestre. Storia di un sito per la città, Venezia 2010.
• Cecchetto, Giacinto, Ville e siti di ville nel territorio storico di Castelfranco Veneto nelle fonti cartografiche e fiscali dei secoli XVI-XVIII, in Villa. Siti e contesti, a c. di Renzo Derosas, Treviso 2006, pp. 125-153.
• Derosas Renzo, I Querini Stampalia. Vicende patrimoniali dal Cinque all’Ottocento, in I Querini Stampalia. Un ritratto di famiglia nel settecento veneziano, a c. di Renzo Busetto e Madile Gambier, Venezia 1987, pp. 43-87.to
• Lewis, D, La datazione della villa Corner a Piombino Dese, “Bollettino CISA”, XIV (1972), pp. 381-393.
• Rossato, Valerio, Storia di una fabrica voluptuosa. Villa Malipiero–Barbarich a Zelarino, Mestre 2004.
• Vigato, Mauro, Preesistenze e indizi di ville nel territorio di Castelfranco Veneto nella prima metà del XVI secolo, in Villa. Siti cit., pp. 93-121.
Sitografia:
• http://www2.comune.noale.ve.it/tel/Piazza%20castello/04%20Rossi/Storia/Famiglia%20Rossi.htm, sulla famiglia Rossi di Noale.
• http://irvv.regione.veneto.it/xw/lod/front/file/16211.pdf, VE 333, scheda informativa su villa Rossi di Noale.
• http://irvv.regione.veneto.it/xw/lod/front/file/19992.PDF, VE 521, scheda informativa su villa Querini di Mestre
• http://irvv.regione.veneto.it/index.php?wp=INDEX, catalogo on-line dell’Istituto regionale delle Ville Venete, serie di schede catalografiche dei beni architettonici e ambientali localizzati nel Veneto e nel Friuli Venezia-Giulia.
• http://www.palladiomuseum.org/veneto/opera/49, su villa Corner a Piombino Dese.
Claudio Pasqual
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