Guida per il lettore e introduzione storica
di Claudio Pasqual e Stefano Sorteni
In queste Parole del fiume, in cui si tratta del Marzenego in chiave storica e con un’ottica retrospettiva di lungo periodo, dal Medioevo al pieno Novecento, il lettore troverà presentata la complessa vicenda del fiume sotto forma di una serie di voci tematiche. Un’impostazione che garantisce la libertà di accostarsi all’argomento secondo i propri interessi e curiosità, e di costruirsi un itinerario personale (partendo quindi dalla Mappa concettuale), ma che ci pone l’obbligo di avanzare una nostra proposta di percorso, in grado di orientare il lettore nel suo viaggio nel lungo passato del fiume.
Nella rapida presentazione che segue le parole evidenziate danno accesso alle diverse voci tematiche di cui è costituito il nostro glossario del Marzenego. Ogni testo è corredato dalla riproduzione di fonti scritte e iconografiche da noi ritenute di particolare valore documentario.
In età antica, in un territorio, appartenente all’agro centuriato del municipium di Altino, segnato quanto a idrografia dalle inondazioni e divagazioni del Muson, fiume instabile e mutevole nel suo corso, il Marzenego ebbe quasi certamente un ruolo trascurabile. Sappiamo per il IV sec. d. C. che una stazione di posta lungo la strada consolare Annia sorgeva probabilmente nel sito dell’attuale Forte Marghera.
Tra l’alto e il basso Medioevo il Marzenego interessò l’area di confine del dominio di Treviso con quello patavino e il Dogado veneziano. Lungo il suo corso i poteri trevigiani stabilirono una linea di castelli, sfruttando la rete fluviale in funzione difensiva. Trebaseleghe e Robegano rimasero fortificazioni assai rudimentali. A Noale e Mestre invece furono erette solide strutture in muratura: la prima fu munita di rocca e porte, la seconda di una cinta muraria continua. In entrambe le località il castello non era un semplice fortilizio, ma racchiudeva un insediamento, dentro e attorno il quale si formarono i due maggiori centri abitati del territorio.
Mestre in particolare, per la sua posizione strategica, al punto di confluenza di strade che collegavano Padova e Treviso e per la vicinanza a Venezia, divenne un importante nodo di comunicazioni e commerci. Pure il Marzenego fu utilizzato come via d’acqua e sulle sue sponde sorsero dei porti: a Cavergnago e a Marghera presso la foce, che servivano Venezia, e a Mestre sul ramo superiore per gli scambi tra Padova e Treviso e per i traffici locali; e a ciascuno era unito un mercato. Questi scali durarono finché non furono soppiantati dal porto delle Barche sul canal Salso, aperto nel XV secolo fra Mestre e la laguna, e sul quale fu trasferita la dogana. La navigazione fluviale continuò a praticarsi sul Marzenego per brevi tragitti, sulle piccole imbarcazioni preferite a volte alle strade malsicure soprattutto per il trasporto delle farine dai mulini.
Anche questi ultimi, ostruendo in più punti il fiume, furono responsabili del declino del Marzenego come via di comunicazione. Dal Medioevo e fino a Novecento inoltrato rimasero in funzione, disseminati fra Trebaseleghe e Mestre, da diciassette a diciannove mulini. Nonostante concorressero a causare esondazioni e allagamenti, durarono tanto a lungo e tanto numerosi in quanto indispensabili per il rifornimento di farine a Venezia. Lungo l’asta del Marzenego furono attive anche fornaci da laterizi, che traevano la materia prima dalle cave aperte nei locali depositi di argilla. Nell’ambito della manifattura tessile ricadeva poi l’uso delle acque del Marzenego per il trattamento del lino e della canapa, direttamente in alveo o tramite derivazioni in appositi maceratoi.
Altre risorse erano la pesca di fiume e in peschiere da esso alimentate e il consumo diretto dell’acqua, proseguito fino in tempi relativamente recenti, per bere, cucinare, lavare.
Questo infittirsi e diversificarsi delle attività fluviali era strettamente connesso a uno sviluppo del tessuto insediativo che determinò nel tempo una radicale antropizzazione del paesaggio di questo tratto di pianura. Nel basso Medioevo riprese un processo di colonizzazione che attraverso la bonifica di paludi e acquitrini e la progressiva eliminazione del bosco portò alla formazione su ampia parte dell’area di una campagna intensamente coltivata. Limiti e condizionamenti tecnici, sociali e politico-istituzionali tuttavia impedirono a lungo la piena affermazione dell’agricoltura, sicché lungo il corso del fiume si potevano distinguere fino a tempi relativamente recenti tre differenti unità di paesaggio. Nel tronco superiore la fascia umida delle risorgive era caratterizzata da estese praterie e da boschi – e una tale abbondanza di pascoli favoriva l’esercizio della pastorizia, anche delle greggi montane transumanti. Il tratto mediano corrispondeva al dominio dell’agricoltura asciutta, praticata secondo il sistema della policoltura promiscua cerealicola e viticola – e vi si era affermata la “civiltà di villa” dei veneziani, con varie dimore nobiliari costruite a un dipresso dal fiume. Infine, lungo il corso inferiore del Marzenego-Osellino, da Mestre alla foce, l’area di gronda era il regno della palude, delle valli, dei pascoli umidi. Dei centri abitati bagnati dal fiume, Mestre e Noale erano i più importanti, e il primo destinato a un avvenire di popolosa città. In entrambi il Marzenego aveva giocato un ruolo cruciale nella strutturazione dell’insediamento. A Noale con le derivazioni e canalizzazioni che circondavano e intersecavano castello e contrade; a Mestre chiudendo fra i bracci delle beccarie e delle muneghe l’isolotto del borgo di San Lorenzo, separato da quelli del Castello e di Santa Maria – salvo poi sparire nel sottosuolo il ramo meridionale durante l’urbanizzazione novecentesca, con la città affamata di spazi nella sua espansione.
Sulla configurazione del territorio e sugli assetti idrogeologici del bacino un forte peso esercitò la politica dello Stato veneto di regimazione idraulica dei sistemi fluviali della bassa pianura – così importante da meritare l’istituzione di un’apposita magistratura, i Savi ed esecutori alle acque, mentre la materia delle bonifiche fu attribuita ai Provveditori sopra beni inculti; dopo Campoformio la competenza sui fiumi vide succedersi più uffici, a partire dalla Deputazione alle acque e strade del 1798. La determinazione di allontanare i fiumi da Venezia e dalla laguna portò a inizio Cinquecento alla deviazione del Marzenego dal punto di sbocco a san Giuliano verso nord tramite il canale Osellino. Agli inconvenienti derivati dal prolungamento e rallentamento del corso d’acqua si rispose con rettifiche dell’asta fluviale, la maggiore delle quali fu a fine Settecento il raddrizzamento dell’Osellino fra Mestre e l’antico borgo di Marghera. Anche così non fu risolto il pesante problema delle esondazioni del fiume, delle inondazioni e degli impaludamenti dalle aree più basse del territorio. All’innalzamento del letto e agli straripamenti si provvide con le arginature; indispensabile sarebbe poi stata la manutenzione degli argini, così come altri interventi ordinari quali l’escavazione dell’alveo soggetto a interramenti, lo sfalcio dell’erba e la pulizia delle sponde, che però non furono mai effettuati con la dovuta regolarità. Con l’istituzione del consorzio Dese nel 1808 si cercò di dare al problema una stabile soluzione.
Gli allagamenti del centro mestrino e della campagna circostante furono affrontati negli anni Trenta del Novecento con la costruzione dello scaricatore delle acque di piena sull’argine lagunare a San Giuliano. Le terre paludose che si estendevano per qualche migliaio di ettari fra Marghera e San Michele del Quarto lungo il tratto terminale dell’Osellino e alla confluenza con il Dese-Zero e lo sbocco in laguna scomparvero ad opera della bonifica avviata del Consorzio Dese Inferiore, iniziata negli anni Venti e portata a termine solamente nel secondo dopoguerra.
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Claudio Pasquale e Stefano Sorteni
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